E ora tutti aspettano le comunali. Quando dice “non so se il governo dura”, il ministro leghista Giancarlo Giorgetti pensa probabilmente, anche, alle prossime Idi di Primavera. Quando cioè si voterà in quasi mille comuni […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Quando dice “non so se il governo dura”, il ministro leghista Giancarlo Giorgetti pensa probabilmente, anche, alle prossime Idi di Primavera. Quando cioè si voterà in quasi mille comuni (sui circa 8mila), con 23 capoluoghi di provincia tra cui Genova, Palermo, Verona, Padova, L’Aquila, Parma, Piacenza, Alessandria, Catanzaro. Un sostanzioso anticipo delle elezioni politiche del 2023 che sulla carta potrebbe già scomporre partiti e coalizioni usciti con le ossa rotte dal Quirinal Tango. Soltanto dopo si potrebbe provare a ricomporre la griglia di partenza in vista della nuova legislatura. Prendiamo il M5S dove la mediazione elevata di Beppe Grillo potrebbe nel breve periodo scongiurare lo scontro finale Conte-Di Maio. Difficilmente però si eviterà la resa dei conti programmata dal ministro degli Esteri contro l’attuale capo politico, nel caso i voti del Movimento si riducessero in misura cospicua (come quasi sempre accade nei test amministrativi).

Quanto al centrodestra, è probabile che, malgrado l’alleanza politica funestata dall’esito del Mattarella Bis “non esiste più” (Giorgia Meloni), il cartello elettorale sopravviva, anche se da tempo ha perso la sua spinta propulsiva (vedi il recente tracollo alle Comunali di Roma, Milano, Napoli, Bologna). Sembra difficile, infatti, che per aprile-maggio il cosiddetto partito repubblicano vagheggiato da Matteo Salvini (con Berlusconi e i cespugli centristi) avrà preso una qualche forma. Al momento appare il classico, mediocre espediente per sviare l’attenzione dai disastri quirinalizi combinati dall’uomo del mojito. Nei prossimi mesi vedremo anche se la maionese del cosiddetto terzo polo impazzirà prima di aver messo insieme i partitini di Lupi (Noi con l’Italia), Toti (Coraggio Italia), Forza Italia e l’Udc (il problema è sempre lo stesso: ok, ma chi comanda?). Operazione che, tuttavia, necessita come l’aria di un’adeguata legge proporzionale, tutta da vedere. Grandi e piccole manovre che lascerebbero una vasta prateria a Giorgia Meloni, anche se i voti di cui si rimpinza la destra rischiano di restare inutilizzati nel frigorifero di un’opposizione fine a se stessa. Ecco perché, oltre a Giorgetti, alle Idi primaverili guarda con un certo timore Mario Draghi, che già oggi passa come il premier di un’unità nazionale scaduta come lo yogurt.