Mantenere la parola data è un principio universale, comune a tutte le società e a tutte le culture. A scuola studiammo del console romano Attilio Regolo che, prigioniero dei Cartaginesi, era stato mandato a Roma dopo aver promesso che sarebbe tornato, e che onorò il patto pur sapendo che lo attendeva una fine atroce […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Mantenere la parola data è un principio universale, comune a tutte le società e a tutte le culture. A scuola studiammo del console romano Attilio Regolo che, prigioniero dei Cartaginesi, era stato mandato a Roma dopo aver promesso che sarebbe tornato, e che onorò il patto pur sapendo che lo attendeva una fine atroce. Il rispetto degli impegni è alla base del sistema creditizio, dell’ordinamento giuridico e della civiltà dei rapporti umani. Esiste una sola eccezione a un siffatto vincolo d’onore: la politica. Una vecchia battuta definisce il politico come colui che s’invita a pranzo, ti ruba le posate, ti corteggia la moglie e poi ti chiede il voto (e magari lo ottiene pure). L’abitudine a considerare “normale” l’abuso costante dell’uso coerente delle parole spesso c’impedisce perfino di vederlo. Prendiamo la rielezione di Sergio Mattarella, che è servita come una provvidenziale ancora di salvezza a un sistema dei partiti collassato e indeciso a tutto. Infatti, la sua permanenza al Quirinale viene considerata un elemento di stabilità, oltre che un segno di generosità e di responsabilità nei confronti del Paese. Nell’associarci al coro festoso sul “dopo” non possiamo esimerci, tuttavia, dall’interrogarci sul “prima”. Ovvero, sulle ripetute dichiarazioni di congedo che il Presidente ha disseminato negli ultimi mesi del suo mandato. Pur di fronte agli interessi supremi della nazione, alla celebrata eccezionalità della situazione (non tanto, poi, visto il precedente Napolitano), alla indubitabile correttezza del personaggio (circondato da una vasta e affettuosa popolarità), ci sia consentita una domanda. Questa: era proprio indispensabile insistere con l’interminabile rosario degli addii quando l’eventualità di un arrivederci era nei fatti più che possibile, come si è visto? Ok chiedere di introdurre la non rielezione del Capo dello Stato, che tutti comunque hanno inteso come una determinazione riferita a se stesso. Ma perché quel battere e ribattere sulla stanchezza (“Io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi”), o sugli scatoloni già pronti e imballati in direzione del nuovo appartamento (e che subito hanno ripreso la via del Colle)? Lo chiediamo con grande rispetto: si sarebbe forse potuto dire, “prima”, un po’ di meno in modo tale da restituire, “dopo”, alla credibilità della politica (e delle istituzioni) qualcosina di più? Altrimenti non sarebbe più opportuno cassare dai testi scolastici il modello Attilio Regolo? Per non ingenerare nelle giovani menti attese purtroppo infondate?