Noi, che stiamo belli comodi alla scrivania e ogni tanto ci alziamo per deambulare, rifocillarci ed espletare i bisogni fisiologici, ignoriamo le tribolazioni del maratoneta notista politico, diuturnamente assiso dentro uno studio televisivo per la diretta del Quirinale, microfonato alle 9 di mattina e smicrofonato all’una di notte […]

(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – Noi, che stiamo belli comodi alla scrivania e ogni tanto ci alziamo per deambulare, rifocillarci ed espletare i bisogni fisiologici, ignoriamo le tribolazioni del maratoneta notista politico, diuturnamente assiso dentro uno studio televisivo per la diretta del Quirinale, microfonato alle 9 di mattina e smicrofonato all’una di notte, sottratto per sei giorni all’affetto dei suoi cari per spiegare alla nazione i sottili equilibri, le strategie e i retroscena delle elezioni del presidente della Repubblica.
L’esperto analista ha passato 144 ore in diretta, semi-digiuno e con le piaghe da decubito sulle terga, a disquisire, ragionare, rivelare, analizzare, calcolare, considerare, ma soprattutto a ribadire il Postulato Primo dell’analista da maratona tv: il prossimo Capo dello Stato sarà Mario Draghi.
Qualunque manifestazione della realtà non ha fatto che convincerlo vieppiù dell’unica cosa certa, del centro di gravità permanente nel caos italiano: o Draghi o morte (o Tajani, che fa lo stesso).
Chino sul cellulare, costantemente sollecitato da lanci di agenzia e soffiate da “fonti altissime e attendibili” (che poi sono quasi sempre messaggini di quarte file, WhatsApp di Gasparri, tweet di Marattin, vocali di Luciano Nobili), l’analista-podista ha dimostrato il polso che ha del Paese. I parlamentari si sono sanificati le mani con l’Amuchina meno spesso di quanto Cazzullo-Mieli-Franco-De Angelis-Cerasa-Sala-Di Bella, dalla sedie di La7, Rai 3, Sky Tg24, hanno fatto convergere gli eventi dentro l’imbuto della “soluzione Draghi”, che poi era la permuta della Costituzione della Repubblica italiana con quella del Ducato di Città della Pieve, in ciò aiutati (sviati) dai geni che abbiamo per leader politici, arruolati dai poveri inviati per biascicare davanti alle telecamere che siccome le “rose” di papabili includevano personaggi sempre più improbabili, l’ipotesi Draghi era tutt’altro che tramontata, e anzi l’apparente retrocessione del Migliore era la conferma che di lì a poche ore Fico avrebbe letto il suo nome almeno per 505 volte.
Salvini lancia candidature ridicole? Vuol dire che Giorgetti sta lavorando per Draghi. Draghi ha telefonato a Casini? Allora si sta virando su Draghi. In 400 si sono astenuti? Non vogliono bruciare Draghi. Un sacco di schede bianche? È il grido di dolore dei parlamentari per Draghi. Conte, Salvini e Meloni candidano una donna? Allora è praticamente fatta per Draghi. Votano in massa per Mattarella? È un messaggio in codice per dire “Draghi”. In sei giorni nessuno dei lungometristi ci ha spiegato perché, se il Parlamento voleva Draghi, non ha votato Draghi.
La notte di venerdì, un refolo di principio di realtà è spirato nelle redazioni (la Belloni aveva per un attimo allertato l’attenzione mitografica dei fondisti, col suo casale nelle campagne toscane e i tre pastori alsaziani): Renzi, fan di Draghi (almeno finché Draghi non si è auto-candidato, facendogli venire il sospetto che in Italia esista uno più vanitoso ed egocentrato di lui), si aggirava randagio in piazza Monte Citorio per collegarsi con le maratone e informare la nazione che il capo dei Servizi non poteva diventare Capo dello Stato, e che Draghi, il nostro “Maradona” e “fuoriclasse”, poteva anche “andare al Quirinale, ma attraverso un percorso politico, non un concorso a premi”. Ahia.
L’esperto della diretta è sempre un po’ fuori sync: convinto che tutto ciò che è reale è razionale purché non si distacchi dalle sue certezze – così come era convinto che al referendum di Renzi avrebbe vinto il Sì (pena la procedura fallimentare per l’Italia), che il M5S non avrebbe preso 11 milioni di voti, che Meloni non avrebbe sorpassato Salvini, che Conte non avrebbe mai ottenuto i soldi del Pnrr, che il Pd aveva un candidato illustre per il Quirinale (a parte Draghi) – ieri ha preso atto del Mattarella bis e ha ripiegato sul “ticket Mattarella-Draghi”, che comunque è una mezza vittoria. Coi segni del cuscino sui capelli, stropicciato dalla brandina abborracciata dalle produzioni nei sottoscala per farlo tornare tonico e lucido l’indomani, il maratoneta analista politico ci ha spiegato come va il mondo. A esso tutta la nostra solidarietà.
“che comunque è una mezza vittoria. ”
Per loro lo è, eccome. Puntavano su Draghi solo perché qualcuno ha spergiurato che giammai sarebbe rimasto.
Tra 18/24 mesi, quando Mattarella si dimetterà, non sarà più mezza vittoria, ma intera.
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Possibile/probabile Paola, ma vedremo….nel frattempo Io godo soltanto di una cosa, che quell’essere ignobile che si è autocandidato a PDR, “il nonno”, ora si azzecca sulla sedia per un altro anno a Palazzo Chigi, e ogni giorno travaserà bile. Anche se c’è il Mattarella bis, anzi a maggior ragione.
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Me lo auguro, ma se continuano a votare in cdm all’unanimità non cambierà molto.
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sarebbe ora che sotto le testate giornalistiche venisse pubblicato il finanziamento totale e la quota parte per singola testata che i governi “elargiscono…”!!!
così almeno la gggente che si informa sulla carta per incartare il pesce sappia perché giornalisti al guinzaglio tifano per i loro padroni…!!!
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Però, mica male Daniela Ranieri.
Gianni
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Domanda:
ma… se LA7 ha decine di giornalisti tra cui tantissimi politici (Panella, Merlino, Tortora, Formigli, Floris ecc ecc), perché Mentana insiste così tanto a fare il ‘maratoneta’? Quale sarebbe la necessità di avere lui, e solo lui, in televisione per così tanto tempo quando ci sono le dirette?
Non è un pò vecchio e stanco di qeusta manfrina? E Cairo pensa davvero che La-7 sia più credibile con l’ultramaratoneta della televisione?
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