Alla direzione del Pd convocata da Enrico Letta con i gruppi parlamentari si presenta pure Luca Lotti (via streaming, come tutti). Che annuncia la fine dell’autosospensione. Il segretario non ne sapeva nulla, tanto che al Nazareno il timing pare quantomeno inelegante. Il dettaglio è di quelli che illuminano il quadro […]

(DI WANDA MARRA – Il Fatto Quotidiano) – Alla direzione del Pd convocata da Enrico Letta con i gruppi parlamentari si presenta pure Luca Lotti (via streaming, come tutti). Che annuncia la fine dell’autosospensione. Il segretario non ne sapeva nulla, tanto che al Nazareno il timing pare quantomeno inelegante. Il dettaglio è di quelli che illuminano il quadro. Perché ieri Letta incassa un sì unanime al mandato (con le capogruppo) “di seguire le trattative per l’elezione del presidente della Repubblica”, mentre tutti gli interventi introducono divergenze. Nel documento finale si parla di “una figura di alto profilo istituzionale e quindi non di parte” , frutto di “una scelta condivisa” a partire dall’“attuale maggioranza”. E anche di “stabilità nell’azione di governo” e della conclusione “nei tempi ordinari” della legislatura.

La rosa del segretario comprende Sergio Mattarella, Mario Draghi e Giuliano Amato. “Non abbiamo deciso se votare scheda bianca nelle prime tre votazioni o se cercare un candidato con gli alleati”, chiarisce. Lui lavora per il premier, anche se il bis non gli dispiace. Pone un punto fermo: “Berlusconi è il più divisivo che ci sia”. E fa balenare un accordo anche sulla legge elettorale. Al Nazareno sono pronti a offrire a Matteo Salvini e a FI il proporzionale, per disinnescare B. E per portare il leader leghista sul premier gli fanno balenare un governo dove lui possa avere più peso. Anche attraverso un rimpasto (che potrebbe essere l’occasione per sostituire Giancarlo Giorgetti). Ma nei gruppi parlamentari dem, che temono il voto, l’opzione preferita è il bis di Mattarella, poi un nome diverso da Draghi, infine il premier stesso. In molti (che ancora non vengono allo scoperto) non escludono di prendere in considerazione una rosa presentata dal centrodestra.

Tra le figure più potabili c’è Franco Frattini. Si parla persino di Maria Elisabetta Casellati. Come mediazione “asettica” torna Pier Ferdinando Casini (eletto nel Pd). Difficile immaginare Draghi a Palazzo Chigi con uno di loro al Colle. Il dibattito di ieri si svolge con questi ragionamenti sullo sfondo. Per la corrente di Franceschini parla Franco Mirabelli che definisce Draghi “fondamentale per l’azione di governo”. E come lui Goffredo Bettini che parla pure di necessità di “un’iniziativa politica” del Pd. Raccontano che accarezzi l’idea di un Franceschini eletto presidente, magari con i voti di Berlusconi, per vendetta contro gli alleati in caso di una sua bocciatura: scenario che vedrebbe la fine del governo Draghi.

A descrivere esplicitamente un “rischio tenuta” con la candidatura in campo di B. è Andrea Orlando. Un altro che Draghi al Colle non lo vuole. Il vicesegretario, Peppe Provenzano (che preferirebbe Amato) avverte: “Non possiamo bruciare alcuna carta”. Per Base Riformista, Alessandro Alfieri auspica un accordo tra i leader di maggioranza. Lorenzo Guerini, che guida la corrente, è considerato il più forte alleato di Letta per portare Draghi al Colle. Ma l’uomo brilla per pragmatismo. Sarà perché ha ben chiaro il quadro che per Letta è già importante aver ottenuto un voto su nessun no al premier.