Com’è successo che siamo finiti a urlarci insulti con la bava alla bocca, nemici giurati in una guerra assurda che finirà per fare danni a lungo termine alla tenuta del nostro tessuto sociale? Com’è possibile che chi ci governa non abbia capito che il Paese va tenuto insieme ora più che mai…

(di Silvia Truzzi – Il Fatto Quotidiano) – Com’è successo che siamo finiti a urlarci insulti con la bava alla bocca, nemici giurati in una guerra assurda che finirà per fare danni a lungo termine alla tenuta del nostro tessuto sociale? Com’è possibile che chi ci governa non abbia capito che il Paese va tenuto insieme ora più che mai, che le ferite vanno suturate e non incise più a fondo soffiando sul fuoco delle paure, individuali e collettive? Tutti gli indicatori sociali – precarietà, disoccupazione, povertà – ci dicono che non è questo il momento per allentare le tutele al lavoro. Facciamo un passo indietro: quanto è accaduto sabato a Roma non può essere imputato solo ai fascisti. Anche se, cari no vax e no pass, non si partecipa alle manifestazioni in cui c’è anche Forza Nuova. È una regola di semplice buon senso: oltre a evitare spiacevoli confusioni, aiuta la causa per cui si vuole protestare. Leviamo di mezzo orbaci e fez e a Matteo Salvini (“fascista è mettere fuori legge i partiti”) ricordiamo che se avesse mai dato un’occhiatina alla Costituzione, si sarebbe accorto che oltre alla famosa XII disposizione transitoria e finale, tutto l’impianto della Carta è antifascista.

Chiarita la premessa, è evidente che ci stiamo incamminando gioiosamente e inconsapevolmente verso un baratro, di cui nei prossimi giorni vedremo la profondità. L’intransigenza – unica al mondo – con cui il governo ha scelto di regolare l’accesso al lavoro attraverso il Green pass non solo solleva molti (e fondati) interrogativi da un punto di vista di legittimità costituzionale, ma sta creando una frattura scomposta tra i cittadini. I dubbi riguardano il metodo con cui si è scelto di procedere. L’esecutivo – sostenuto praticamente dall’intero arco parlamentare – ha deciso di non rendere obbligatorio il vaccino per legge (cosa che l’articolo 32 della Costituzione consente), ma di introdurre l’obbligo di fatto. Una scelta inaccettabile perché solleva governo e Parlamento da una responsabilità politica che in questa situazione è – meglio: dovrebbe essere – ineludibile. Il lavoro è il diritto che fonda la Repubblica: non può essere limitato (e in termini tanto perentori) arbitrariamente. Basta leggere il passaggio sul lavoro da remoto: “Non è consentito in alcun modo individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione”. A parte che ovviamente per alcuni mestieri lo smart working non è praticabile, la motivazione (razionalmente poco comprensibile) che sta alla base di questo draconiano divieto: “Il possesso della certificazione verde e la sua esibizione sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell’accesso al luogo di lavoro. Non sono consentite deroghe a tale obbligo”. Ora tutto dipenderà dal modo in cui verranno applicate le nuove regole: siamo ancora in tempo per evitare che un rigore oggi non legittimato dalla situazione sanitaria, mandi il Paese nel caos, danneggiando milioni di famiglie.

La feroce leggerezza con cui i partiti hanno rigettato la gratuità dei tamponi per i lavoratori che non si sono vaccinati è un altro segnale allarmante. Di gratuito c’è il vaccino, dicono. Questa posizione di fasulla tutela delle finanze pubbliche legittima la rabbia dei cittadini vaccinati (“perché devo pagare con le mie tasse i capricci di chi non si è voluto vaccinare?”) e anche di quelli che non si sono vaccinati (costretti a pagarsi i tamponi o a perdere lo stipendio). È il contrario di quello che lo Stato dovrebbe fare, cioè promuovere la solidarietà sociale, aiutare chi ancora non si è vaccinato a superare le proprie difficoltà. Pensavamo che la nostra democrazia avesse sviluppato sufficienti anticorpi per resistere alle sirene dello Stato etico: pagheremo un prezzo molto alto per non avere avuto il coraggio di sostenere il principio supremo dello Stato di diritto.