È ancora Beppe Grillo a indicare la via. E ancora, in un modo o nell’altro, alla fine nel Movimento si fa come dice lui: via libera in Consiglio dei ministri alla riforma della giustizia voluta dalla Guardasigilli Marta Cartabia.

(pressreader.com) – di ldc e l.giar. – Il Fatto Quotidiano – È ancora Beppe Grillo a indicare la via. E ancora, in un modo o nell’altro, alla fine nel Movimento si fa come dice lui: via libera in Consiglio dei ministri alla riforma della giustizia voluta dalla Guardasigilli Marta Cartabia.

Il retroscena, svelato ieri da ilfattoquotidiano.it, conferma la centralità del Garante, le cui telefonate sono state decisive – insieme agli ultimatum di Mario Draghi – per far cambiare rotta ai quattro ministri 5Stelle, convinti fino all’ultimo di astenersi sulla legge. E oggi gli eletti, che di quelle telefonate non ne sapevano nulla, sbottano: “Nessuno ci ha avvisati che i ministri avrebbero approvato la riforma”.

La rabbia ruota intorno a quello che succede tra la fine delle varie riunioni interne e l’inizio del Consiglio dei ministri di giovedì sera, a cui i ministri erano arrivati con un mandato preciso: se non è possibile votare No, perlomeno astenetevi.

E invece, nel giro di un paio d’ore, i quattro M5S di governo – Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli, Federico D’Incà e Fabiana Dadone – confermano al premier Mario Draghi e alla ministra della Giustizia l’ok del Movimento, accettando il piccolo ritocco ai tempi dell’improcedibilità per i reati contro la Pubblica amministrazione. Dietro al cambio di rotta, secondo quanto risulta al Fatto, c’è l’intervento del fondatore, ormai convintosi che Draghi abbia le stimmate del grillino. I parlamentari, però, si sentono presi in giro: “Come mai siamo stati scavalcati?”.

Anche perché l’accordicchio su corruzione e concussione non è novità dell’ultima trattativa, quella del pomeriggio. La proposta arriva ai gruppi parlamentari già giovedì mattina, figlia delle prime interlocuzioni tra i ministri e il presidente del Consiglio. Il quale però ha un filo diretto col fondatore, con cui ogni tanto si sente anche perché ha capito di avervi trovato un insperato alleato. A poco servono allora le mille riunioni tra la mattina e il primo pomeriggio, quando i 5 Stelle – i ministri si riuniscono con i Direttivi delle Camere e qualche parlamentare di peso – discutono a lungo se sostenere la norma che straccia la Spazzacorrotti, arrivando poi alla decisione di astenersi in Cdm. E a poco servono anche i tentativi di Giuseppe Conte, che nel frattempo suggerisce ai suoi di non cedere su un totem come quello della Giustizia e si lamenta di come alcuni testi fondamentali continuino ad arrivare in Cdm all’ultimo minuto.

Non solo: in quelle riunioni si valuta già il compromesso finale, quello che allunga i tempi per i reati contro la Pa, e non il testo iniziale. Ciononostante, gli eletti si dividono tra chi è per un secco No alla riforma e chi consiglia l’astensione: “Il Sì alla riforma non era neanche in discussione”, si lamenta un parlamentare.

E invece, finita la riunione, la linea cambia. Le solite “fonti del M5S” fanno sapere all’Ansa che “nessuno ha dettato la linea ai ministri sul tema della prescrizione”, mancando però di smentire che Grillo abbia telefonato in maniera separata ai ministri, chiedendo di non mettersi di traverso. La versione che arriva dai ministeri grillini è che i quattro abbiano tutto sommato tenuto il punto dell’astensione col fondatore, ma che abbiano fatto un passo indietro di fronte a Draghi: “Si è infuriato, mettendo sul tavolo le dimissioni”.

L’ipotesi, si intende, è piuttosto astratta, ma in ogni caso il pressing di Grillo e la contrarietà del premier producono il dietrofront in Cdm. Il resto è noto: la destra e i renziani provano ancora a logorare i 5Stelle contestando l’accordo sulla corruzione, ma sanno benissimo di poter festeggiare. Quando Draghi domanda ai ministri se ci siano obiezioni sulla riforma, nessuno alza la mano. Persino i big del Movimento, come il capo reggente Vito Crimi e i capigruppo Ettore Licheri e Davide Crippa, si ritrovano spiazzati, avendo lasciato i ministri convinti che si sarebbero astenuti. Decine di eletti scoprono la giravolta dalla stampa e adesso chiedono delle spiegazioni, ottenendo la convocazione di un’assemblea congiunta per domani (era prevista per ieri, ma gli animi tesi hanno suggerito il rinvio). Ben sapendo che il Sì di giovedì indica la rinuncia a un altro pezzo della propria identità.