(pressreader.com) – di Antonella Mascali – Il Fatto Quotidiano – La riforma della giustizia penale, frutto di quella che la ministra della Giustizia Marta Cartabia ama definire la “sintesi politica”, dopo aver ascoltato questa maggioranza di separati in casa, in realtà, salvo colpi di scena di sera tarda, pende tutta dal lato centrodestra con annessi renziani e pezzi del Pd. Pensando alla proposta sulla prescrizione, sull’Appello libero per imputati e molto meno per i pm, al ruolo del Parlamento nell’indicare le priorità delle indagini, salta all’occhio che si tratta di una riforma che non ha nulla a che vedere con l’efficienza della giustizia e la sua velocizzazione che ci chiede l’Europa, ma rende euforico il partito trasversale degli impuniti eccellenti che può dormire sonni tranquilli. Certo, deve però, essere votata dal Parlamento dove le incognite, questo è vero, sono all’ordine del giorno. Resta, comunque, il fatto politico che il governo vuole mandare al macero, di fatto, la legge Bonafede, che dal gennaio 2020 blocca la prescrizione dopo il primo grado senza distinguo. Una norma che nella sostanza c’è in quasi tutta Europa.

La proposta Cartabia, invece, è questa: legge Bonafede-foglia di fico per il primo grado. Sgretolamento della Bonafede blocca-prescrizione dall’Appello in poi. Il processo di secondo grado, infatti, si deve celebrare in due anni e quello in Cassazione in un anno, se non vengono rispettati questi tempi scatta la cosiddetta “improcedibilità”: cioè il processo è defunto e gli imputati colpevoli la fanno franca facilmente se sono ricchi e possono pagare parcelle salate agli abili avvocati, che hanno tutto l’interesse a sforare i tempi per rende lettera morta i processi. Alla faccia dell’obiettivo sbandierato da Draghi e da Cartabia non solo di velocizzare i processi, ma anche di garantire giustizia alle vittime. E in barba a quanto dichiarato, per esempio, dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza 8 settembre 2015, secondo la quale, prima della Bonafede, il nostro sistema di prescrizione era in contrasto con il diritto comunitario perché impediva l’applicazione di sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive”, in quel caso in materia di Iva.

Per il M5S è evidente che è un’ipotesi politicamente altamente imbarazzante nei confronti dei suoi elettori dato che ha sempre professato l’intoccabilità della legge del suo ex ministro Alfonso Bonafede e che il massimo della mediazione era il cosiddetto lodo Conte (Federico Conte di Leu) approvato dal Cdm del governo Conte 2 e che prevedeva il doppio binario per condannati e assolti in primo grado. Ma quell’ipotesi è inaccettabile per centrodestra e renziani che dominano il governo, ed ecco spiegata la proposta della prescrizione-improcedibilità. Mentre scriviamo, il tentativo del M5S per non perdere del tutto la faccia è quello di far escludere i reati più gravi come la corruzione dalla nuova disciplina (quindi varrebbe sempre, in alcuni casi , la legge Bonafede, ma si rischierebbe l’incostituzionalità della norma) o almeno allungare i tempi processuali predeterminati di Appello e Cassazione rispettivamente a 3 anni e a un anno e mezzo. C’è poi un altro punto dolente della riforma Cartabia: le modalità delle impugnazione dell’Appello che dei 3 gradi di giudizio è quello dove si prescrivono più processi. Il M5S ha sempre sostenuto che va eliminato il divieto di reformatio in peius: oggi i giudici non possono aumentare la pena per gli imputati condannati che presentano ricorso. Sarebbe un vero deterrente per appelli pretestuosi, ma il resto della maggioranza non ci sta e quindi Appello libero per gli imputati, mentre per i pm sono previsti alcuni paletti, pare meno stringenti rispetto all’ipotesi iniziale.

E veniamo al cavallo di battaglia del presidente della commissione tecnica, Giorgio Lattanzi: le priorità delle indagini indicate annualmente dal Parlamento. Una ipotesi sulla quale, per evitare di scontrarsi frontalmente con i magistrati, Cartabia ha espresso riservatamente qualche perplessità e così, pare che il Parlamento dovrà votare delle linee guida “generali”, indicate dal Guardasigilli, ma dovrebbero essere i procuratori a modularle e a comunicarle al Csm. Per il resto, da segnalare il rinvio a giudizio solo se si prevede ragionevolmente una condanna e il giro di vite sui tempi di indagine dei pm.