(di Saverio F. Regasto Università degli Studi di Brescia) – In questi giorni la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati ha avviato l’esame dei progetti di legge per riconoscere “poteri speciali” a Roma Capitale. Non sfuggirà al collega (e amico) On. Prof. Stefano Ceccanti, relatore di tali progetti, l’importanza di una riflessione volta a collocare in una dimensione nuova – e, ritengo, più consona e opportuna – la questione dello “stato giuridico” di Roma. Come è noto il Titolo V della Costituzione (che, ormai, impropriamente chiamiamo “nuovo”) si limita, al suo art. 114, comma 3, a sancire che Roma è la capitale della Repubblica e che la legge dello Stato – e non già la Costituzione come sarebbe stato auspicabile – ne disciplina il suo ordinamento.

Quello dell’ordinamento di Roma Capitale, inteso nell’accezione della “Città Metropolitana” è tema complesso a cui però il legislatore della revisione costituzionale non ha mai dato l’importanza che meritava, tanto nel testo vigente, quanto nelle numerose proposte, mai approvate, che si sono susseguite nel corso degli ultimi venti anni.

Partirei dalla ovvia dimensione quantitativa del problema: la Città Metropolitana di Roma Capitale si estende per circa 5300 Kmq, conta 121 Comuni e circa 4,2 milioni di abitanti; Roma Capitale – Città in senso stretto – ha una estensione di circa 1200 Kmq e una popolazione residente di circa 2,8 milioni di abitanti. Ovviamente la quantità di persone che popolano effettivamente la Città eterna è ben più alta, se solo si pensa ai pendolari provenienti dai Comuni limitrofi.
In termini meramente comparativi, l’Abruzzo conta circa 1,3 milioni di abitanti, il Molise circa 300mila, la Calabria circa 1,9 milioni e la Basilicata circa 550mila su un territorio di circa 10mila Kmq.

Ciò nonostante, per ragioni tecnicamente oscure, ma politicamente del tutto evidenti, in nessuno dei testi di revisione della Costituzione fin qui discussi, era presente l’idea di riconoscere a Roma Capitale (o a Roma Città Metropolitana) lo status di Regione a statuto ordinario, con ciò allineando il nostro Paese ad altre realtà continentali che hanno felicemente e opportunamente “separato” i destini delle loro Capitali dai rapporti, necessariamente gerarchici e talvolta conflittuali, con gli enti sovraordinati del territorio. Basti qui citare il caso di Berlino, Capitale della Germania dopo l’unificazione, ma soprattutto Land della Federazione tedesca, e quello di Madrid, Capitale del Regno di Spagna, ma anche Comunità Autonoma.

Non vi sono, ovviamente, solo ragioni di immagine e blasone che suggeriscono di guardare favorevolmente a una ipotesi di revisione in tal senso, ma evidenti motivi che affondano le loro radici nella disciplina della potestà legislativa concorrente di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. e di quella residuale di competenza regionale di cui al quarto comma del medesimo art. 117 Cost.

Appare evidente che per dimensioni, complessità e peculiarità istituzionale (Roma “include” nel suoi territorio un particolare Stato estero, è sede primaria delle rappresentanze diplomatiche di tutti i Paesi che hanno rapporti con l’Italia, è meta, come nessuna altra città, di masse enormi di turisti e, infine, circostanza unica sul territorio nazionale, è sede di tutti gli organi costituzionali della Repubblica, degli apparati ministeriali e delle Autorità indipendenti, ecc.) Roma rappresenti un vero e proprio unicum per il quale la scelta di una sorta di “autogoverno” (penso alla possibilità di adozione di un proprio piano regionale dei rifiuti) meglio garantirebbe efficacia, efficienza e, soprattutto, velocità dell’azione legislativa e amministrativa rispetto al necessario (e talvolta problematico) rapporto con la Regione Lazio.

Non vedo, poi, quali controindicazioni tecniche possano essere ragionevolmente addotte rispetto a una scelta di tal genere, salvo questioni di eventuale convenienza politica che, in quanto tali, esulano da questo ragionamento.

Parrebbe, al contrario, che dopo la revisione costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari (apparsa ai più come una battaglia ideologica simbolo di un nuovo – o presunto tale – che avanzava), ripartire dalla centralità del ruolo della Capitale possa essere un buon viatico per riavviare quel percorso riformatore che si appalesa come necessario, senza tuttavia esser tentati da operazioni che possano stravolgere l’impianto complessivo della nostra Costituzione.