(di Maria Rita Gismondo – Il Fatto Quotidiano) – Siamo così abituati alle cattive notizie che neanche l’arrivo di un’arma terapeutica vincente contro il Covid ci distrae dalla tragedia. Ci sono i primi vaccini, altri se ne aggiungeranno presto e sono finalmente arrivati gli anticorpi monoclonali. Trump, colpito dal Covid nei primi giorni di ottobre dello scorso anno, li ha assunti e in tre giorni è stato dimesso dall’ospedale. Non posso dimenticare le critiche che mi sono arrivate, dopo aver commentato positivamente la notizia apparsa proprio nelle pagine del Fatto, da un gruppo di ricerca olandese che stava sperimentando questa opportunità terapeutica. Era marzo 2020, e parlare di anticorpi monoclonali era una vera eresia. È stato così per un anno. O vaccini o nulla. Perché? Contro la pandemia non bisogna ignorare alcuna possibilità che possa contrastarla. Vaccini e monoclonali, usati con finalità e modalità diverse, possono rivelarsi essere la vittoria definitiva. E se si aggiungessero antivirali efficaci, ancora meglio. Tanto più ciò ha valenza se consideriamo che i vaccini non potranno essere sufficienti per tutti in tempi molto brevi. Eppure se a metà dicembre non ci fosse stata una pesante critica da parte di alcuni clinici sul fatto che addirittura l’Italia stesse producendo anticorpi monoclonali, ma solo per venderli all’estero, senza avere la possibilità di usarli, forse non avremmo raggiunto il traguardo.

Il pressing operato anche dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei medici, unitosi a quello del nuovo presidente dell’Aifa, prof. Palù, ha sbloccato la situazione. È vero che possono essere usati con alcune limitazioni, ma è anche provato che funzionano nel 70% dei pazienti con alto rischio di evoluzione della malattia, prevenendo persino l’ospedalizzazione. Sono, di fatto, l’abbinamento ottimale alla campagna vaccinale. Mentre questa procede, chi si dovesse ammalare potrà essere curato. E non solo: stiamo parlando di anticorpi, perciò potranno essere utilizzati anche per rendere immune quella popolazione che si trova in una condizione di rischio elevato, o perché affetta da malattie gravi o perché esposta al contagio per motivi di lavoro.