(Corriere della Sera) – C’è un dettaglio che spiega molto, nella storia dei deputati che hanno chiesto il bonus. E che quindi non è un dettaglio. È la metà di maggio quando Antonello Crudo, responsabile della direzione antifrode dell’Inps, informa il presidente Pasquale Tridico che dai controlli sulle domande per i bonus Covid ci sono anche quelle di 2 mila persone tra politici e amministratori locali.

Cosa c’entra l’Antifrode se la frode non c’è visto che, per quanto incredibile, non c’era limite di reddito? È una prima zona grigia che sembra dar ragione a chi sostiene che il caso sia stato montato ad arte per lanciare la volata al referendum sul taglio dei parlamentari. Ma non è la più importante.

Anche perché politici e amministratori locali dal punto di vista previdenziale rientrano in una gestione speciale, che meritava un approfondimento. E in quel momento di emergenza, con una pioggia di pratiche senza precedenti, l’Antifrode è stata coinvolta per una serie di controlli extra.

Resta il fatto che, verificato che la frode non c’era, tutto doveva finire lì. E invece dopo due mesi la storia finisce sui giornali ed esplode il caso. L’Inps ha avviato un’indagine interna per capire come siano andate le cose. Raccontano che il direttore generale Gabriella Di Michele non abbia per nulla gradito questa storia.

E che ci sia una preoccupazione che va al di là della contingenza: se alla fine quei nomi dovessero essere pubblicati, non si creerebbe un precedente per un istituto che deve mantenere riservati i dati di 40 milioni di posizioni, tra persone e aziende?