MATTEO SALVINI

(di Ilaria Proietti – Il Fatto Quotidiano) – “Ma sì, mandatemi a processo. Mi fate un favore ché l’unico tribunale è quello del popolo”. Matteo Salvini fa di necessità virtù. Quando è ormai chiaro che il pallottoliere gli è contro e lo condanna ad affrontare le accuse dei magistrati di Palermo per la gestione a bordo dei migranti della Nave Open Arms, va al contrattacco. Tentando almeno di capitalizzare un po’ di consenso attorno al processo per sequestro di persona e non solo, che sulla carta potrebbe costargli 15 anni. Anche per via del coinvolgimento di minori, trattenuti pure loro per giorni a bordo prima dello sbarco, in quei giorni roventi dell’agosto del 2019.

“Grazie a tutti coloro che mi manderanno a processo, perché mi fate un gran regalo e io in quel tribunale ci vado a testa alta”, dice prima che l’aula di Palazzo Madama emetta la sentenza che dà il via libera al processo: con lui si schiera l’intero centrodestra che grida al processo politico trovando man forte pure da altri che siedono in altri banchi. Come l’eterno Pier Ferdinando Casini che parla di uso improprio della magistratura. O Riccardo Nencini del Psi che accusa la sua maggioranza (che lo ha appena fatto eleggere presidente della Commissione Cultura), di essere giustizialista e giacobina nei confronti di Salvini. Nonostante questi alti lai, i voti per garantire l’impunità al segretario del Carroccio si fermano però a 141 quando ne servirebbero almeno 160. Dicono invece sì al processo Pd, LeU, M5S e anche Italia Viva. Che ha sciolto la riserva all’ultimo istante, con la scusa di volere leggere le carte inviate da Palermo. Per poter decidere nel merito e scansare l’accusa di esser complice di un processo politico a carico del leader leghista.

In realtà i renziani la pratica Open Arms la conoscono al centimetro da tempo: prima che arrivasse in aula, infatti, è stata per mesi all’esame della Giunta per le autorizzazioni a procedere che l’ha licenziata nel maggio scorso. Quando alla fine era stata approvata la relazione dell’azzurro Maurizio Gasparri, che chiedeva di dire no al processo a Salvini, anche grazie alla posizione assunta dai tre senatori di Italia Viva. Che dopo aver letto tutte le carte e visto pure il dossier fotografico a esse allegato dai magistrati (una serie di immagini dei migranti ammassati per giorni sullo scafo sotto il solleone agostano in condizioni al limite dell’umano) avevano deciso di astenersi “in mancanza degli elementi istruttori richiesti” perché “numerosi sono dunque i dubbi che ancora oggi residuano in riferimento al caso Open Arms”. La cosa aveva fatto ben sperare il leghista, che peraltro ha già sul groppone le imputazioni a Catania per il caso della Nave Gregoretti.

Forse per questo quando Renzi ieri mattina ha preso la parola in aula per dire sì al processo a Salvini, che come ministro dell’Interno avrebbe agito non per tutelare un interesse pubblico, ma per “aumentare i follower su Facebook”, al Capitano è andato il sangue agli occhi. E lo ha apostrofato così: “È triste vedere il senatore Renzi passare dall’avere come modello De Gasperi a comportarsi come uno Scilipoti qualunque, ma ognuno sceglie il destino che lo aspetta”, ha detto alludendo ai calcoli politici dell’altro Matteo mascherati con parole degne delle “supercazzole di Amici miei, che sono più seri di qualche senatore presente in questa Assemblea”. Ma Renzi non è stato l’unico bersaglio dell’arringa salviniana. Con un certo gusto sadico, ha infierito pure su Pietro Grasso che poco prima, nel suo intervento in aula, aveva messo in fila tutti gli elementi in punto di diritto che rendono inevitabile il processo per Salvini: la situazione di eccezionale gravità e urgenza a bordo della Open Arms che da sola giustificava l’ingresso dell’imbarcazione nelle acque territoriali italiane; il mancato accordo degli altri ministri e del presidente del Consiglio rispetto alla sua gestione del caso che coinvolgeva anche diversi minori. Inchiodando l’allora titolare del Viminale anche dalla modifica delle norme che aveva preteso in materia di soccorso in mare, quando aveva avocato a sé la responsabilità per l’indicazione del “porto sicuro” (o place of safety, Pos).

“Quindi, nessuna collegialità, ma l’azione solitaria del ministro che ha trasformato un atto dovuto (come lo sbarco dei minori), previsto dalle Convenzioni internazionali, in uno strumento – anche questo – di contrasto all’immigrazione” è stata la ricostruzione dell’ex magistrato. Vittima a quel punto del dileggio salviniano: “Quanto successo, è agli atti, mancato presidente Grasso”, ha infierito Salvini alludendo alla sua sfumata elezione al vertice della Commissione Giustizia poco prima di ricordare che tornerà a casa dai suoi figli a testa alta per aver fatto l’interesse nazionale contro i “tifosi dei porti aperti che hanno le mani sporche di sangue”. Il che ha fatto scattare Anna Rossomando del Pd: “Ma di quale ragion di Stato parla? E di quali rosari vaneggia? Su Open Arms, un’imbarcazione con due bagni alla turca omologata per 19 persone, erano stipati 150 esseri umani. Bambini e adulti inermi come una donna gravemente ustionata e un uomo con una pallottola in un piede. Altro che lotta agli scafisti”.