(di Elisabetta Ambrosi – Il Fatto Quotidiano) – Ha detto di essere stato frainteso e si è scusato, Andrea Bocelli, che lunedì ha deciso di partecipare al convegno, organizzato in Senato da Vittorio Sgarbi, “Covid-19 in Italia, tra informazione, scienza e diritti”. Un titolo tanto pomposo quanto falso, che avrebbe potuto tradursi tranquillamente con “non ci dovete rompere le palle, evviva la movida”, come i presenti hanno poi esplicitato.

Le parole del tenore hanno ben espresso il primo livello di una visione negazionista sul virus: siccome Bocelli “non ha conosciuto nessuno andato in terapia intensiva e dopo i maxi festeggiamenti per la Coppa Italia a Napoli non è successo niente” il Covid-19 non può essere così grave.

In breve, la mia visione soggettiva è la realtà oggettiva. Se io non lo vedo, non c’è.

Esiste però un secondo livello di negazionismo, molto più subdolo e pericoloso, quello di giornalisti come Nicola Porro. Che addirittura si è appellato a Popper per rivendicare il suo cavallo di battaglia sempre uguale, sia sul Covid-19 come sul cambiamento climatico: chi mette in discussione il pensiero dominante, anche scientifico, sta sullo stesso piano del pensiero dominante, sia pure la maggioranza assoluta degli scienziati.

Si tratta di due opinioni, eguali e legittime. Peccato che “la verità scientifica non si fa mai con un solo articolo. E per questo 99-1 non è uguale a 50-50”, spiega Giorgio Vacchiano, ricercatore esperto di foreste e clima.

“È come una misura. Se 100 persone misurano la tua altezza otterranno risultati diversi, ma la tua altezza è una sola. Se su 100 misure 99 convergono è probabile che la tua altezza sia quella. L’esistenza di uno studio che giunge a conclusioni differenti non è mai abbastanza per smentire i 99 a favore”.

E poi c’è un terzo livello, ancora più infame, cioè l’uso politico del negazionismo, quello di un Salvini che decide di non mettersi più la mascherina.

Come spiega, tra gli altri, il sociologo Keith Kahn-Harris, il negazionismo, a differenza della semplice negazione, non si limita a rimuovere la realtà, ma ne costruisce una alternativa.

Un conto dunque è chi ha un rifiuto psicologico nell’accettare la pandemia, o il riscaldamento globale, un conto è la decisione politica di ignorarla.

La cosa più grave, di cui poco si parla, sono le conseguenze di questa scelta sciagurata: sono infatti i più fragili a fare le spese del negazionismo giornalistico e politico, in questo caso i colpiti gravemente dal virus così come dalla crisi climatica. Sarebbe stato forse meglio allora cambiare il titolo del convegno in “Covid-19, la nostra libertà, la vostra fine”.

O meglio ancora: “La nostra libertà, la nostra fine”, visto che le scelte sanitarie e climatiche ricadono anche su chi le fa. Ma vai a farlo capire a chi in Senato ci è andato per rivendicare, come ha fatto sempre Porro, il diritto all’aperitivo dei ragazzini e cioè, in fondo, di se stessi.

Intanto, avanza un dubbio: ma l’Ordine dei giornalisti non ha nulla da dire su chi nega la pericolosità del Covid-19 e al tempo stesso l’esistenza del riscaldamento globale?