(Massimo Gaggi – il Corriere della Sera) – L’America, si dice spesso, è una pentola a pressione: una società piena di energia ma con un fondo selvaggio, violento e col «peccato originale» (parole di Joe Biden di ieri) dello schiavismo che rimane una ferita aperta nonostante la fine della segregazione e la stagione dei diritti civili. Una società compressa da leggi rigide, da una giustizia penale durissima e da una polizia che spesso fa un uso eccessivo della forza.

Ogni tanto la pentola scoppia: razzismo e brutalità degli agenti provocano incidenti o vere rivolte. La più grave, quella del 1992 a Los Angeles per il caso Rodney King: 63 morti e 2400 feriti. Anche negli ultimi decenni si sono scatenate guerriglie urbane, assai meno cruente, da Ferguson a Baltimora.

Ma a Ferguson, dopo incendi e saccheggi notturni, la gente capì che stava distruggendo la sua stessa comunità. Il coprifuoco funzionò e i black block arrivati da fuori vennero isolati. A Baltimora i saccheggi li fecero studenti liceali appena usciti di scuola: le famiglie reagirono e bastò l’ appello di un leader nero che era stato al fianco di Martin Luther King, Elijah Cummings, a placare gli animi.

La reazione all’ uccisione di George Floyd è cosa diversa: un incendio che si propaga in tutto il Paese con eruzioni di violenza spontanea e atti di guerriglia urbana ben organizzati. Ci sono movimenti neri esasperati che non predicano più la resistenza non violenta, mentre il governatore del Minnesota che – decisione senza precedenti – ha mobilitato l’ intera Guardia Nazionale, avverte: gruppi anarchici e della supremazia bianca cercano di alimentare il caos.

E crescono i timori di interferenze straniere (soprattutto Russia) per destabilizzare gli Usa, come già avvenuto nel 2016. Ancora nel tunnel del coronavirus, l’ America vive la sua ora più buia. Con un presidente che, anziché calmare gli animi, adotta lo slogan coniato dallo sceriffo di Miami 50 anni fa: «Se saccheggiate, spariamo».