(Michelangelo Borrillo – il Corriere della Sera) – C’ è chi lavorava al bar. Che non ha riaperto. Chi studiava. Ma adesso è senza lezioni. Chi, semplicemente, era già disoccupato prima del Covid-19. Hanno saputo che, volendo lavorare, nei campi c’ è spazio, perché quest’ anno mancano 200 mila braccianti, in gran parte stranieri, impossibilitati a tornare in Italia a causa delle restrizioni nella mobilità dovute al coronavirus. E così più di 20 mila italiani, braccia più braccia meno, si sono registrati sulle banche dati delle principali organizzazioni agricole.

Che proprio per fronteggiare la carenza di manodopera, ad aprile hanno creato delle piattaforme per incrociare l’ offerta di lavoro delle aziende e la domanda degli aspiranti operai agricoli. La prima, il 7 aprile, è stata Confagricoltura: in poco più di un mese alla piattaforma Agrijob sono arrivate 17 mila domande, 12 mila circa di italiani. Il 18 aprile anche Coldiretti ha lanciato la sua banca dati: a Jobincountry si sono iscritti in 10 mila circa, quasi 9 mila italiani. Il 24 aprile è partita anche la Cia con la piattaforma Lavora con agricoltori italiani (inteso come aziende agricole): in due settimane sono arrivate 2.500 domande, 2 mila circa di italiani. In poco più di un mese, quindi, oltre 20 mila italiani (un terzo donne), hanno provato ad avvicinarsi ai campi.
Qualcuno aspetta risposte, altri dopo due giorni hanno cambiato idea, ma in tanti ora raccolgono frutta e verdura. Tra i neofiti delle pratiche agricole ci sono anche cinque camerieri, salentini, dell’ agriturismo Tenuta Monacelli, alle porte di Lecce: «Fino a tre anni fa – spiega il titolare Giuseppe Piccinni – l’ attività agricola, con i nostri 340 ettari, era prevalente. Poi con il boom del turismo c’ è stato il sorpasso. Adesso stiamo tornando alle origini: fino a luglio, almeno, staremo fermi sul fronte turistico e allora ho chiesto ai miei collaboratori più stabili di preparare i terreni per impiantare nuovi ulivi al posto di quelli colpiti dalla Xylella: hanno accettato, ben felici di poter lavorare».
Dal Sud al Nord la situazione non cambia. «Ci arrivano diverse richieste dalla costa ligure – spiega Domenico Paschetta, della cooperativa cuneese Agrifrutta – da 30-40enni che lavoravano nel turismo. Abbiamo bisogno, tra raccolta e confezionamento, di 500 persone. Negli scorsi anni erano al 90% stranieri. Ma adesso, con la difficoltà a muoversi da Albania, Romania e Polonia, stiamo cercando gente locale senza problemi di alloggio: in passato i Comuni si erano organizzati con strutture di accoglienza, quest’ anno con il distanziamento sarà più difficile».
Gli italiani che cercano lavoro nei campi, quindi, non mancano. E considerata la carenza di manodopera, anche il governo si sta organizzando per utilizzare la piattaforma dell’ Anpal, l’ Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, in sinergia con quelle delle organizzazioni agricole. L’ agriturismo sarà, almeno nei prossimi mesi, più agri che turismo.
Leonardo Cecchi. Ed ecco i risultati.
Avete presente il problema dei raccolti che rischiano di marcire? Non sono solo al Sud. Ma anche al Nord.
Anche in Emilia-Romagna. Dove Bonaccini, un paio di settimane fa, aveva appunto realizzato un progetto di collaborazione con 38 centri per l’impiego, al fine di reclutare manodopera stagionale per evitare il collasso del settore agricolo. Tanti, all’epoca, minimizzarono.
Ma il risultato?
L’agricoltura emiliano-romagnola si sta salvando. Meglio ancora: il caso più eclatante, rilanciato oggi dai giornali, è a Ferrara, casa leghistissima. Dove grazie a quell’ide,a baristi e tantissimi altri cittadini in cassa integrazione rispondendo all’appello stanno salvando il settore locale. Tutti insieme, lavorando “fianco a fianco”.
E le domande di collaborazione aumentano ogni giorno di più.
Un grande successo di una grande regione che fa davvero scuola per tutta Italia. Perché il punto non è l’agricoltura: il punto è che così ci viene dimostrato che quando si fanno le cose con serietà, i problemi si risolvono. Le cose si salvano.
Prendano allora appunti gli altri, senza far nomi.
Prendano appunti. Perché è così che si governa.
"Mi piace""Mi piace"
Leonardo Cecchi.
Su Rai3 è appena avvenuta la più clamorosa delle sconfitte di Matteo Salvini. Chi lo ha steso senza alzare un tono e senza una virgola fuori posto è stato il signore a destra, Aboubakar Soumahoro, sindacalista italo-ivoriano.
Il tema era l’agricoltura, la questione dei diritti.
In un italiano praticamente perfetto, Soumahoro, che cita Primo Levi e Papa Francesco, ha infatti smontato con il massimo della calma ogni singola, minima, infinitesimale balla di Salvini. Partendo da un presupposto: che a marcire nei campi sono i diritti anche degli italiani, che rappresentano oltre l’80% della manodopera agricola. Sono i diritti di chi, dice Aboubakar, “è impegnato nelle campagne a raccogliere frutta e cibo che finisce anche sulla tavola del senatore Salvini”.
Salvini ha ascoltato tutto bofonchiando, sgranando gli occhi. Incredulo. E non appena Aboubakar ha terminato il suo discorso ha subito ricominciato con la solita retorica, la solita propaganda. Allora il sindacalista, capito l’antifona, gli ha detto un’ultima cosa. Una sola.
“Salvini, un’ultima cosa: metta gli stivali e venga nei campi con noi. Andiamo ad ascoltare i contadini”.
E tutto termina lì. Nel Salvini paonazzo, purpureo. Steso, davvero con grande classe, da chi a differenza sua di lavoro può parlare. Che così facendo ci ha dimostrato quanto già sapevamo.
Che quando ha un contraddittorio, Salvini non è che smette di esistere. Evapora politicamente.
"Mi piace""Mi piace"