(di Vittorio Emiliani – Il Fatto Quotidiano) – Negli anni 60 l’assetto fortemente centralizzato dello Stato, lo Stato dei prefetti, delle prefetture e dei loro controlli, la mancata attuazione delle Regioni a statuto ordinario ci facevano sembrare insopportabile la “strozzatura” burocratica romana. Che si allentò a partire dal 20 maggio 1970, mezzo secolo fa.

Quale bilancio? Regionalista convinto (allora) sono oggi regionalista fortemente deluso. La burocrazia dei ministeri era di qualità più elevata di quella regionale. Meno proclive a soddisfare i potentati locali. Un solo esempio: alla Direzione generale per l’Urbanistica c’era un commis d’Etat come Michele Martuscelli, il quale univa a un rigore morale assoluto una competenza e una capacità di “fare squadra” eccezionale con elementi più giovani che si chiamavano Vezio De Lucia (suo successore), Basile, Pontuale, Marcelloni e altri. E i tempi di esame di piani e programmi erano più veloci e severi di quelli delle Regioni le cui leggi sono quasi tutte fondate sulla “contrattazione coi privati”.

È vero, burocrazia e tecnocrazia, agli inizi, erano state in buona parte ereditate dallo Stato fascista il quale però, a sua volta, aveva fruito della migliore burocrazia della storia d’Italia: quella cioè ereditata da Giolitti e anche da Nitti. Se la ricostruzione del Paese, dopo le distruzioni terribili (oggi inimmaginabili) della guerra avvenne velocemente e senza grandi scandali, credo lo si dovesse a una classe politica di più alto livello culturale (selezionata da antifascismo e Resistenza), ma anche a una burocrazia e a una tecnocrazia di alta qualificazione.

I migliori ingegneri erano considerati quelli delle Ferrovie. Ma pure al Provveditorato delle Opere Pubbliche e al Genio Civile ve n’erano di ottimi. Come i Magistrati delle acque per il Po e per Venezia. La categoria dei segretari comunali era stimata, promossa solo per concorso, un potere terzo rispetto alla stessa Giunta e ai sindaci (da cui oggi, di fatto, dipende). Per non parlare dei Soprintendenti ai Beni Culturali e Ambientali poco pagati e però autorevolissimi. Vogliamo parlare dell’alta dirigenza dell’Iri, dell’Eni, e di altre società a partecipazione statale del primo periodo? Menichella, Sinigaglia, Mattei, Luraghi e via elencando. Tutta gente dalle visioni strategiche.

Che il regionalismo “spinto” non fosse la ricetta giusta lo si doveva capire dalla speciale autonomia concessa alla Regione Siciliana temendo la saldatura fra separatismo politico e banditismo. Si creò uno Stato nello Stato dove tutto è potuto e può succedere, compreso il dominio del ceto politico su quello amministrativo e tecnico. Disastroso, come i bilanci della Regione stessa. Per l’Alto Adige o Sud Tirol – che nel 1915-18 non rientrava nelle aspirazioni italiane concentrate su Trento e Trieste – abbiamo dovuto subire pressioni separatiste continue.

Presto imitate, negli anni 70, in Lombardia e nel Veneto con la nascita della Lega Nord e della Liga Veneta. Chi non ricorda le cerimonie purificatrici alle sorgenti del Dio Po, l’assalto a San Marco, i ministeri a Monza, l’assemblea a Mantova, mi pare, gli inviti a noialtri a cacciare nel cesso il tricolore, la minaccia di Bossi di schierare 43mila armati in Val Brembana (il ministro Gian Filippo Mancuso, magistrato esemplare, ricordiamolo, reclamò invano una denuncia formale dal governo Dini), le scemenze del Trota, i milioni di euro distratti da mani ancor più distratte (e dovevano moralizzare la vita pubblica…). Tutto prim’ancora dello sbracamento al Papeete col più austero dei ministeri “spiaggiato” e “a cul busòn!” come si dice ancora in Romagna.

Quante buone leggi riformatrici abbiamo visto smontate dalle inadempienze regionali. La legge Galasso sui piani paesaggistici del 1985: poche attuazioni, compensate per fortuna da molti decreti ministeriali a vincolare (con la legge Bottai del ’39) per quasi metà i nostri paesaggi. La legge per la difesa del suolo n. 183/1989, ottima, presto svuotata. Il Codice per i Beni Paesaggistici Rutelli 2008: la miseria di tre Piani, più quello del Lazio, tragicomicamente rimodificato dal Consiglio regionale a danno di Roma! E l’ultima arlecchinata in piena pandemia con la Lombardia al disastro? E ho detto solo un decimo. Oggi le Regioni sono il corpo opaco della Repubblica. L’attacco alla Casta ha svegliato un anti-parlamentarismo fascista profondo. Un serio, controllato decentramento regionale era utile. Questo fritto misto di federalismo ad alto costo, no: è indigeribile.