(Salvo Palazzolo – la Repubblica) – Ogni giorno, per le forze dell’ ordine, è un lavoro complicato controllarli tutti nelle loro abitazioni.
Più volte, anche di notte. Sono 376 fra mafiosi e trafficanti di droga. A Palermo, 61. A Napoli, 67. A Roma, 44.
A Catanzaro, 41. A Milano, 38. A Torino, 16. Tutti mandati ai domiciliari per motivi di salute e rischio Covid, nell’ ultimo mese e mezzo. Una lista riservata che il Dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria ha inviato solo mercoledì scorso alla commissione parlamentare antimafia, che l’ aveva sollecitata più volte al capo del Dap Francesco Basentini, che alla fine si è dimesso, travolto dalle polemiche per le scarcerazioni.
Una lista che preoccupa anche i magistrati delle procure distrettuali antimafia, dalla Sicilia alla Lombardia, che continuano ad opporsi al ritorno dei boss nelle loro abitazioni, sollecitando piuttosto il trasferimento in centri medici penitenziari, che peraltro sono strutture di eccellenza della nostra sanità. «Il diritto alla salute è sacrosanto – hanno ribadito nei giorni scorsi i pm di Palermo in un’ udienza in cui si discuteva dell’ ennesima richiesta di scarcerazione – ma i domiciliari sono assolutamente inidonei per soggetti ad alta pericolosità». Perché resta forte il rischio che i mafiosi continuino a comunicare con il clan. Soprattutto quando così tanti, all’ improvviso, si ritrovano nei propri territori.
Ecco perché i controlli delle forze dell’ ordine continuano senza sosta, come disposto dal ministro dell’ Interno Luciana Lamorgese.
L’ elenco Le cinque pagine della lista riservata del Dap svelano che adesso si trova ai domiciliari uno dei boss più pericolosi di Palermo: Antonino Sacco, l’ erede dei fratelli Graviano, gli uomini delle stragi del 1992-1993, per i magistrati faceva parte del triumvirato che ha retto di recente il potente mandamento di Brancaccio. Ai domiciliari è tornato anche Gino Bontempo, uno dei padrini della mafia dei pascoli che fino a gennaio dettava legge sui Nebrodi: dopo aver finito di scontare un’ altra condanna aveva messo in piedi una rete di insospettabili professionisti per una maxi truffa all’ Unione Europea, così ha razziato finanziamenti per milioni di euro.
Ai domiciliari, per motivi di salute, è tornato anche Francesco Ventrici, uno dei principali broker del traffico internazionale di cocaina, che trattava direttamente con i narcos colombiani. Come un altro manager a servizio della ‘Ndrangheta, Fabio Costantino, della famiglia Mancuso di Limbadi. L’ elenco del Dap è ordinato per carcere e per giorno in cui è stato emesso il provvedimento del giudice. Dall’ inizio di marzo a qualche giorno fa. Alcuni detenuti stanno scontando una condanna definitiva, dunque la decisione è stata dei tribunali di sorveglianza.
Altri sono ancora in attesa di giudizio, su questi il ministero della Giustizia non ha alcuna competenza, tutte le valutazioni spettano a gip, tribunali e corti di d’ appello. Ma sono i numeri a fare impressione. Anche se dal 41 bis sono usciti solo in tre: il camorrista Pasquale Zagaria, il palermitano Francesco Bonura e lo ‘ndranghetista Vincenzo Iannazzo.
Tutti gli altri erano però inseriti nei reparti della cosiddetta “Alta sicurezza 3”, il circuito che ospita l’ esercito di mafie e gang della droga, 9.000 detenuti in totale. Fra loro, i “colonnelli” che secondo le procure e le forze dell’ ordine hanno in mano gli affari e i segreti dei clan.
La circolare La lista arrivata alla commissione parlamentare antimafia svela anche un altro numero destinato ad alimentare le polemiche di questi giorni: per 63 detenuti dell’ Alta sicurezza sono stati i direttori degli istituti penitenziari a sollecitare la magistratura ad adottare provvedimenti, così come disponeva la circolare del Dap del 21 marzo, quella che voleva preservare i detenuti con alcune patologie dal rischio Covid. E in assenza di un piano di trasferimenti predisposto dal Dap nei centri medici penitenziari i giudici non hanno potuto far altro che disporre i domiciliari per tutti. E, ora, resta quell’ elenco dei 376.
Dietro ogni nome, le storie di uomini e donne con problemi di salute e il loro diritto a essere curati.
Ma anche le storie di uomini e donne che hanno segnato le pagine più drammatiche delle nostre città. Storie che spesso si intrecciano con quelle di chi ha trovato il coraggio di ribellarsi alle mafie.
Ciro Quindici, del clan Mazzarella di Napoli, anche lui adesso ai domiciliari, fu denunciato da un ambulante del rione Forcella, stanco di pagare il pizzo. Anche Emilio Pisano, il cognato del boss di Arena ora tornato in Calabria, venne denunciato da un cittadino coraggioso: un imprenditore che non voleva pagare la tassa mafiosa del 5 per cento sull’ appalto che si era aggiudicato. A Reggio Emilia, un commerciante aveva invece denunciato gli esattori del clan Grande Aracri, fra loro c’ era Marcello Muto, un altro nome segnalato dal Dap.
Nella lista adesso al vaglio dell’ Antimafia ci sono soprattutto i nomi di chi continua a conservare tanti segreti. Giosuè Fioretto era uno dei cassieri dei Casalesi. Rosalia Di Trapani non era solo la moglie del boss della Cupola Salvatore Lo Piccolo, era la sua consigliera. Nicola Capriati era un manager della droga inviato in missione dalla Sacra Corona Unita a Verona. Vito D’ Angelo è uno degli anziani della nuova Cosa nostra dell’ imprendibile Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993.
Eccola, la preoccupazione più grande di magistrati e investigatori. Ognuno di questi uomini tornati a casa conserva un pezzo di segreto. Più o meno grande. Su patrimoni mai trovati, su relazioni mai scoperte. I segreti che potrebbero diventare il terreno della riorganizzazione delle mafie.
TARTAGLIA E PETRALIA AL DAP- Viviana Vivarelli.
Di Matteo sulla carica di direttore dei penitensiari ci contava troppo e il suo orgoglio è rimasto talmente ferito che dopo due anni non ha superato la ferita. E’ un magistrato eccezionale ma non è un santo. Del resto ha sbagliato anche lui che doveva prendere al volo l’offerta e non procastinarla. Dopo ha sbagliato ancora perché poteva accettare il ruolo di capo degli Aaffaru penali dove avrebbe potuto incidere fortemente sulle leggi.
A sua volta, Bonafede ha sbagliato a preferire un oscuro magistrato coma Basentini, che di mafia non si era mai occupato e aveva fatto processi solo di rimborsopoli, al più grande nemico della mafia come Di Matteo che avrebbe impedito che dal carcere di massima sicurezza i boss della mafia continuassero a gestire i loro affari criminosi, persino con il 51 bis. La sua scelta non è comprensibile né accettabile. L’unica spiegazione possibile è che Basentini sia stato imposto dalla Lega, per non offendere Cosa nostra. Del resto, se la Lega vuole vincere al sud, deve ereditare il posto servente di Berlusconi e andare a patti con la criminalità organizzata che può darle un notevole bacino elettorale. Certo è che con Di Matteo non sarebbe mai avvenuto che con la scusa dal contagio e dopo l’esplosione delle rivolte nelle carceri e i 14 morti, ben 367 detenuti mafiosi fossero mandati ai domiciliari. La condotta di Basentini dovrebbe essere sottoposta a inchiesta e le sue dimissioni non bastano. Ma, se fosse così, quella soggetta alla mafia sarebbe la Lega, non certo Bonafede, che è riuscito ugualmente a realizzare leggi importantissime nella lotta alla mafia come la legge anticorrotti, la legge contro lo scambio dei voti mafioso, il decreto di indurimento al rilascio di detenuti mafiosi, il peggioramento del 51 bis, e infine la nomina di due degne persone ai penitenziari come Tartaglia e Petralia.
Roberto Tartaglia ha lavorato a Palermo presso la Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica, dove è stato titolare di importanti processi di criminalità organizzata, come quello sulla trattativa Statp-mafia o quelli contro imputati esponenti di primo piano di Cosa Nostra (Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella) insieme ad esponenti della politica e delle Istituzioni di sicurezza (Marcello Dell’Utri, Mario Mori, Giuseppe De Donno, Antonio Subranni), si è occupato degli omicidi di Piersanti Mattarella e di Peppino Impastato. Ha investigato Dell’Utri e ha permesso il sequestro del patrimonio occulto del tesoriere di Riina e Provenzano
Dal maggio 2019 è consulente della Commissione parlamentare antimafia.
Dino Petralia, amico di Falcone e da sempre toga antimafia, è il nuovo capo delle carceri scelto da Bonafede, ha lavorato a Trapani, Sciacca, Marsala, Palermo e Reggio Calabria. Al Csm ha contestato le leggi di Berlusconi. Una vita spesa nella lotta alle cosche e, nello stesso tempo, nell’approfondimento giuridico per garantire una giustizia giusta, vita che va tutta in una direzione, dalla parte dello Stato contro chi ne viola le leggi. Contro la mafia, senza indulgenze di sorta, ma nel pieno rispetto della Carta e delle leggi che ne originano.
Lavoreranno in team.Tra i due, Petralia e Tartaglia, il rapporto è ottimo, perché entrambi hanno lavorato a Palermo, Tartaglia pm e Petralia procuratore aggiunto. Di più: Tartaglia lavorava nel pool sulla corruzione, di cui Petralia era il diretto coordinatore. È la prima volta che la scelta di un vertice cade su due figure già in stretto rapporto tra di loro, che quindi possono garantire una guida concordata.
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@ Viviana
“Di Matteo sulla carica di direttore dei penitensiari ci contava troppo e il suo orgoglio è rimasto talmente ferito che dopo due anni non ha superato la ferita”
Perché ne fare sempre una questione personale?
La ferita è il favore a quella mafia che lui ha sempre combattuto.
Centinaia di mafiosi sono usciti DOPO DUE ANNI! Capito Viviana? Sono usciti dopo DUE ANNI, non prima!
“E’ un magistrato eccezionale ma non è un santo”
A quali colpe alludi?
Hai lo stesso linguaggio che molto riservano a Falcone quand’era ancora in vita.
“Del resto ha sbagliato anche lui che doveva prendere al volo l’offerta e non procastinarla.”
Ha chiesto 48 ore di tempo (anche per parlarne coi familiari) e ha accettato recandosi dalla Sicilia a Roma entro le 24 ore. Ti sembrano molte?
“Dopo ha sbagliato ancora perché poteva accettare il ruolo di capo degli Aaffari penali dove avrebbe potuto incidere fortemente sulle leggi”
Perché quel ruolo oggi non è lo stesso di quando lo assunse Falcone. Perché il dietrofront immotivato di Bonafede per dar posto a Basentini non lo ha incoraggiato. Perche quel ruolo era già occupato.
Hai letto la merda a palate che esce fuori dalle intercettazioni degli uomini che Bonafede ha scelto? Tutti o quasi uomini di Palamara!
Non sarà che Di Matteo ha rifiutato perché ha fiutato lo schifo?
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