I fanatici di Kabul stanno per rientrare all’Onu, gli Usa si appellano a Sinwar. Quando toccherà allo Zar?

Putin, ultimo paria internazionale mentre trattiamo con Taleban e Hamas

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – È l’ultima invenzione, o meglio, è il completamento e l’ultima geniale irresistibile pennellata: quella che i pittori chiamavano “lumini” e che ponevano agli occhi del ritratto per dargli il fulgore del vivo. I pasciuti del Bene occidentale riconoscono e fanno accordi con i feroci bigotti del jihad! È un fatto che dovremmo definire storico; che in questi momenti di guerre allargate e generale effusione al massacro si va facendo sempre più frequente. Senza che nessuno metta in luce questa indecenza.

Per evitare che quel che diciamo appaia come una inquisizione arbitraria o un precettario petulante stiamo ai fatti. L’Onu, dico l’Onu, si accinge a far cadere le scomuniche nei confronti dei talebani: appuntamento il 30 giugno a Doha, sempre lì, per discutere il reingresso dei fanatici di Kabul nella comunità internazionale. Il ministro degli esteri talebano Amir Khan Muttaqi, faccia da buttafuoco collodiano, potrà sbizzarirsi in riverite missioni al di fuori del cerchio dei ricercati universali, Teheran, Mosca… Direte: l’Onu. La botte dà il vino che ha. Si è fatta in questi tempi grami una granitica reputazione di imbecillità, improntitudine e debolezza tale che per nulla ci deve stupire. Sarebbe da commemorare questa sortita sbarazzandola per l’ennesima volta come rumori inutili. Eppure…

Dal 2021, da quando siano fuggiti vigliaccamente a gambe levate da Kabul, non si era stabilito che quello fosse un quadrone sensazionale dell’oscurantismo, il cozzo più fragoroso con i nostri sacri principi e diritti? Le donne velate, l’ignoranza obbligatoria ope legis, discriminazioni e malignazioni insomma lì c’erano i diavoli al potere… a noi i più forsennati esorcismi! Dovremmo invocare di fronte a simili mostruosità.

Guardate invece come si è ridotto l’ideale occidentale: si va a Doha con la bandiera delle Nazioni Unite a rimettere tra i ferri vecchi i principi della legge universale di cui saremmo i cowboy umanitari e in un corto spazio di deserto, seppur beneficato dai petrodollari, completiamo il processo degenerativo della politica intervenzionistica in nome dei diritti intangibili.

In fondo che si può fare di diverso? Attendiamo che i turbanti di Kabul si convertano alle pantofole e al condizionatore: così partecipano ai popoli i dirigenti del Parlamento dell’uomo. Nel ruba ruba internazionale che c’è di male se anche la sana barbarie della sharia si fa un cantuccio? Ma chissà se a Kabul, Herat e dintorni gli afgani che ci avevano dato retta la intendono così.

Il problema è che ci risiamo. Dopo la breve stagione parolaia di alternativa democrazia e tirannide, medioevo e modernità, civiltà e barbarie rieccoci al vecchio intingolo: lavarsi o sporcarsi le mani? La greve dimestichezza con i terroristi del jihad di cui si puntualizzava solo ieri la gratuita disumanità sta diventando una tendenza. Senza che neppur si apra una discussione su questa attrazione dei contrari che sembrerebbe appartenere agli abbracci di amanti difficili e che fino a ieri veniva maledetta come imprudente e eticamente turpe. O noi o loro! Si sentenziava senza appello e cassazione. Che fine hanno fatto i paroloni grossi, quelli che si tiran fuori all’occasione in cui possono sensazionare? Non vanno più presi sul serio, nuova tattica, una disinvolta “caramaderie”. Quando son torbidi di disordine spicciolo, terzomondista, perché in fondo i talebani vessano solo gli afgani, sono dei fanatici casalinghi che odiano le trasferte, allora ecco la mentalità da consigliere di amministrazione per il quale crepi il mondo se è salvo il nostro avanzo di bilancio.

Poi ti volti verso il Levante e ti accorgi che da mesi gli Stati Uniti trattano affannosamente anche con Hamas. Misericordia! Non Israele che con i suoi nemici anche i più irriducibili conduce diplomazie segrete e necessarie dai tempi in cui Golda Meir imbaccuccata andava a trattare con re Abdallah di Transgiordania. Avrebbe anche dopo il massacro del sette ottobre la giustificazione di cercare di portare a casa vivi o morti gli ostaggi. Ma gli Stati Uniti? Che ai terroristi sono pronti a sacrificare senza batter ciglio perfino i propri concittadini presi in ostaggio? Pur di non cedere mai, perché parlare è riconoscere…

Che pappafico ha indossato la Potenza benedicente tutto il mondo democratico, virile bellicosa non doma, castigamatti che usano le portaerei perfino per difendere la loro soia? Effusioni verso i complici di Bin Laden e i micidiali reggicoda degli ayatollah; con loro niente più far le pulizie e imporre le ricette della felicità perpetua. Infatti, da queste parti hanno capito che l’America è una specie di statua del Commendatore le cui maledizioni hanno perso efficacia. Il grugno achilleo si incalorisce semmai per un altro soggetto, Putin, i cui torbidi si ritengono pericolosi per i propri egotistici interessi.

Hamas è altra pasta rispetto ad Al Qaeda o a Daesh? Astutamente duplicati in ala politica e militanti del kalashnikov sono apostoli abusivi e disumani come i costruttori del califfato di Mosul: la Palestina che sognano è un implacabile monocolore teologico che si sta moltiplicando dal Mozambico al Sahel, un saturnale di settarietà e violenza.

Ci sono poi istrioni di seconda mano che oppongono piati e cavillazioni: non sono gli Stati Uniti che mercanteggiano con i missi dominici di Hamas, provvedono mezzani a ciò designati, qatarini o egizi! L’Onore diplomatico dunque sarebbe salvo. Già. Poi leggi del segretario di Stato che rivolge appelli accorati perché Sinwar, e chi altro? approfitti dell’offerta generosa!

Chi è rimasto nella pattuglia degli infrequentabili a oltranza, con cui ogni idea di trattativa è bestemmia e non siamo passati dall’impegno obbligatorio all’obbligatorio disimpegno? Putin. Per un negoziato sull’Ucraina è severamente vietato individuare una isola di quelle dove in antico convenivano i padroni del mondo a trattare di ripristinare la pace e le cose. Non perché la questione russa è la più pericolosa. È l’unica che rende a molti politicamente e economicamente.