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(DI GIANFRANCO VIESTI – ilfattoquotidiano.it) – Che cosa è successo ieri con la definitiva approvazione della legge sull’autonomia differenziata? Da un punto di vista giuridico ben poco. Non è stato concesso alcun potere. Per quello, bisognerà attendere la firma, e poi la ratifica, di intese fra lo Stato e ciascuna regione. Il confronto politico, delle idee, si sposta quindi sul piano della conoscenza e della discussione di quei contenuti. Tra l’altro, essendo quella approvata una legge ordinaria, qualsiasi sua disposizione può essere modificata da una norma successiva. La battaglia è ancora lunga.
Ma sono stati raggiunti almeno tre importanti obiettivi. Il primo è la rinnovata coesione nella maggioranza, a qualsiasi condizione. Anche a costo di approvare una norma, che deriva dall’antica predicazione leghista, che può disarticolare lo Stato e trasformare l’Italia in un Paese arlecchino. Che cozza frontalmente con la cultura politica di Fratelli d’Italia: girano in Rete le bellicose dichiarazioni di Giorgia Meloni del dicembre 2014, con le quali presentava la sua riforma costituzionale per abolire le regioni, fonte a suo dire di ogni spreco. Oggi le trasforma in Stati-regione dall’ampia sovranità. Una maggioranza che preoccupa: per tanti motivi ma anche perché è disposta a compiere qualsiasi scelta pur di restare al potere.
Il secondo è l’auto-mortificazione del Parlamento. I deputati di maggioranza, con questa legge, hanno deciso di privarsi del diritto-dovere di discutere a fondo i contenuti delle intese, cioè di riflettere su quali poteri, a oggi incardinati nel legislativo nazionale, saranno ceduti. Con un anticipo del premierato, scegliere che cosa e quanto concedere lo decide la presidente del Consiglio; a deputati e senatori spetterà, al termine del percorso un voto di mera ratifica; di giubilante approvazione delle scelte del capo. Così, con queste tristi pagine di storia parlamentare potrebbero avere fine il Servizio sanitario nazionale, la scuola pubblica unitaria, il sistema delle infrastrutture e dell’energia.
Il terzo è che si fornisce un’arma di propaganda. Si dice: con questa legge saranno garantite pari condizioni nei servizi nel Mezzogiorno grazie ai famosi Lep. Che sia una bufala, nonostante le predicazioni di Sabino Cassese è facile intuirlo: chi potrebbe mai ragionevolmente pensare che Luca Zaia e Attilio Fontana abbiano fatto questa lunga lotta per far arrivare più risorse al Sud? Come è evidente da tutti i documenti, l’obiettivo è esattamente il contrario: trattenerne il più possibile nei propri confini. Questo si otterrà grazie a una percentuale garantita del prelievo fiscale nazionale che rimarrà in regione (la “compartecipazione”). Altro che responsabilizzazione delle classi dirigenti. Un bengodi. Lo Stato, cattivo, tassa; la Regione, buona, spende, senza vincoli di destinazione. Quanto ai Lep, abbiamo un impegno con l’Unione europea a stabilirli, e a mettere a regime tutta l’impalcatura del federalismo fiscale, nel Pnrr. Richiedono comunque risorse che non ci sono. Ma a ogni buon conto, il governo ha pensato bene di nominare presidente della commissione tecnica che dovrà fare i conti, una consulente ufficiale della Regione Veneto. Non si sa mai.
E ora? La strada per i sostenitori della secessione dei ricchi si è fatta più agevole, ma è ancora lunga. Per chi vuole opporsi, ci sono più piani. Il primo è quello della mobilitazione politico-culturale generale su questa assurda idea di Paese arlecchinesco. Coinvolgendo i cittadini, del Sud e del Nord. Cercando di far pagare un prezzo politico elevato a Forza Italia e a Fratelli d’Italia. Nel Mezzogiorno ci sono possibilità, come mostrano le posizioni molto perplesse del presidente forzista della Calabria, ma questo va fatto anche e soprattutto nelle città del Nord, finora troppo distratte.
Il secondo, è quello di marcare stretto il governo sui possibili contenuti delle intese, che inizialmente possono riguardare solo alcune materie (cosiddette non-Lep). C’è certamente una trattativa regioni-ministeri in corso, di cui Parlamento e cittadini non sanno nulla. E allora chiedere alla presidente: se questo cambiamento fa così bene all’Italia, perché ne nascondete gli effettivi contenuti? Parliamo della follia di spezzettare la Protezione civile, ad esempio? Infine, come ricorda Massimo Villone, c’è la possibilità dei ricorsi in via principale di alcune regioni (auspicabilmente del Nord e del Sud) alla Corte Costituzionale. Assai meno importante la strada referendaria, per i suoi tempi e contenuti (anche se si abolisse questa legge le intese successive resterebbero valide).
Insomma, il 19 giugno non resterà nella memoria della Repubblica come una giornata felice. Ma tempo e modo per contrastare la secessione dei ricchi ancora ci sono.
Sto studiando il Diritto penale della Serenissima Repubblica di Genova. Ho così scoperto che nel 1662 le sentenze della “Rota Criminale” e le “grida” che le facevano conoscere a tutti ( analfabeti o letterati) non erano scritte in genovese stretto bensì in Italiano ( alla faccia delle balle della tutela delle ” lingue” locali raccontate dai leghisti) e che le disavventure giudiziarie odierne si sarebbero risolte con un bel po’ di nasi, orecchie, mani, teste tagliati in tempi brevissimi. La Repubblica era, infatti, durissima nei riguardi dei ” reggitori” infedeli e di un popolo che aveva il coltello e l’ “archibuggio overo carabino” facili. Per quanto riguarda le mutilazioni, l’Arabia Saudita non ha inventato niente, è solo rimasta a 362 anni fa.
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AUTONOMIA DIFFERENZIATA- Viviana Vivarelli
Ci sono varie cose che mi lasciano perplessa. La Camera ha votato con 172 voti contro 84 una legge sull’Autonomia differenziata che rende i proventi fiscali alla Regioni perché possano spenderli a parer proprio senza obblighi verso lo Stato, cosa molto favorevole per le ricche Regioni del Nord ma molto sfavorevole per le Regioni più povere che diverranno, così, ancora più povere.
Parrebbe che questa legge cambi gli assetti costituzionali perché fa venir meno un principio di integrazione e complementarietà per cui è democrazia anche cercare di aiutare le fasce più povere del Paese riducendo gli squilibri economici e sociali.
L’iter di modifica Costituzione è un processo complesso e rigoroso che richiede il rispetto di specifiche procedure previste dalla legge. La Costituzione italiana, infatti, è il fondamento del nostro ordinamento giuridico e rappresenta il patto fondamentale tra i cittadini e lo Stato. Qualsiasi modifica apportata ad essa deve essere attentamente valutata e approvata secondo le norme costituzionali.
L’articolo 138 della Costituzione italiana prevede due diverse procedure: l’iter ordinario e l’iter abbreviato. L’iter ordinario richiede una doppia approvazione del testo di modifica, mentre l’iter abbreviato prevede una sola approvazione, ma richiede una maggioranza qualificata dei due terzi dei membri di ciascuna Camera.
Successivamente, il testo di modifica viene sottoposto a referendum popolare, dove i cittadini possono esprimere il loro voto favorevole o contrario. Solo se il testo viene approvato dal referendum, diventa parte integrante della Costituzione italiana. Altresì, se il testo viene respinto, non può essere riproposto per un periodo di cinque anni.
Articolo 138: «Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Ma sbaglio o qui la legge di variazione costituzionale è stata attuata con la procedura di legge ordinaria?
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
E infatti l’opposizione pensa già a convocare un referendum abrogativo.
Però il referendum abrogativo non è ammesso dalla stessa Costituzione, articolo 75, per il fisco, le leggi di bilancio, di amnistia e indulto e di utorizzazione a ratificare i trattati internazionali. E questa è chiaramente una legge che cambia gli assetti tributari. E allora?
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Comunque i cittadini del Nord hanno poco da gongolare. E’ vero che le Regioni del Nord avranno più introiti fiscali di cui disporre, ma è vero altresì che i loro Governatori sono intenzionati ad applicare il più feroce neoliberismo che precede il taglio dei servizi pubblici e quanta più privatizzazione è possibile, per cui godranno solo i più ricchi e tutti gli altri saranno penalizzati in modo massiccio. Del resto il taglio a 360 gradi dei servizi pubblici era il programma di Renzi come quello di Draghi.
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Mi chiedo se l’avessero approvata prima delle europee i meridionali che si sono astenuti sarebbero andati a votare?
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