Gli attacchi nella conversazione tra il politico vicino alla ‘ndrangheta e il mediatore del clan Araniti, Daniel Barillà. La nota della Direzione, il comunicato del Cdr

Le minacce del capogruppo Fdi Giuseppe Neri alla giornalista di Repubblica Alessia Candito: “Le sputo in faccia”

(di Salvo Palazzolo – repubblica.it) – L’astro nascente della destra meloniana in Calabria, Giuseppe Neri, e il mediatore del clan Araniti, Daniel Barillà, condividevano non solo strategie elettorali, ma anche l’odio per i giornalisti. Per una in particolare, Alessia Candito, di Repubblica, che da anni racconta le infiltrazioni dell’ndrangheta all’interno delle istituzioni.

Ecco cosa svela l’ultima indagine dei carabinieri del Ros e della procura di Reggio Calabria, che vede indagato per scambio elettorale politico mafioso Giuseppe Neri, oggi presidente del gruppo consiliare di Fratelli d’Italia alla Regione: i magistrati della procura volevano arrestarlo, il gip ha ritenuto che non ci fossero tutti gli elementi sufficienti, i pm insisteranno davanti al Tribunale del riesame.

Quattro anni fa, Neri non aveva gradito alcuni articoli di Alessia Candito sulle sue frequentazioni equivoche, così come emergevano da un’altra inchiesta di mafia. «ll problema è che la politica la fanno i giornalisti», si arrabbiava l’ex Pd passato in Fratelli d’Italia. Daniel Barillà, il genero del boss Domenico Araniti, rincarava la dose contro gli articoli: «Sul mondo di Facebook, quello in cui scrivono tutti, hai l’immagine distrutta». E ancora: «Il problema sono questi giornalisti, che sono quattro ritardati».

Quegli articoli svelavano già le relazioni di Neri con esponenti del clan Araniti. E l’esponente politico temeva per la sua ascesa. Le parole che pronunciava, non sospettando di essere intercettato dai carabinieri, erano piene di insulti contro la cronista di Repubblica: «Poi io scasso — diceva ancora — È capace pure che vedo per strada la Candito e le sputo in faccia, capito? Evitiamo pure».

Quella volta, fu il mediatore dei boss a invitare a gesti meno eclatanti, per evitare ulteriore clamore. «Ma che cazzo stai dicendo — sbottò Barillà — ma poi tu sei un signore rispetto a loro, che vuol dire?». La ‘ndrangheta e i suoi complici sono per la strategia della sommersione. Ma all’epoca Neri era furibondo e ipotizzava addirittura un complotto nei suoi confronti: «La Procura, un po’ tutti, mi stoppano perché io ero diventato il leader del centrodestra a Reggio Calabria». In quei giorni, temeva di perdere quotazioni nel suo nuovo partito: «Mi hanno conosciuto ora… Là c’è gente da vent’anni, non è che ragionano così, Daniel questi sono fascisti. Ora stanno prendendo fiducia che gli ho accettato tutte cose, la vicepresidenza di Morrone, il capogruppo… mi hanno chiamato e mi hanno detto “va bene”, ma sempre un po’ così». Alla fine, però, attribuiva tutte le colpe ai giornalisti: «Sono tutti comunisti del cazzo, Musolino, Candito, quell’altro là di LaC (LaC news 24, ndr), tutti comunisti del cazzo», insisteva Neri. E, adesso, queste intercettazioni sono nell’atto d’accusa della procura contro di lui.

Ma chi è davvero il nuovo ras della destra in Calabria? Arriva dalla Reggio bene, è un gran frequentatore di salotti e circoli, è soprattutto un nipote d’arte: il nonno era l’eterno senatore Dc Sebastiano Vincelli, ininterrottamente in Parlamento dal 1958 al 1983. La carriera di Neri inizia da pasdaran del Partito Democratico, nella corrente di sinistra “Democratici e progressisti”. Poi, all’improvviso, la folgorazione sulla via della destra, con il rapido passaggio a FdI. Quando viene arrestato il suo grande competitor, Domenico Creazzo, nel febbraio del 2023 assolto in primo grado, Neri esordisce con un maggiorente del partito: «Si è rovinato». Poi però inizia a mettere le mani avanti. «A tutti ci può succedere qualcosa, pure a me». Le intercettazioni hanno sorpreso il figlio di un boss, Ciccillo Gattuso, mentre gli diceva: «Da parte nostra quello che si può fare si fa, al massimo». E precisava: «Noi però platea non ne facciamo… stiamo un pochettino dietro le quinte». È la nuova campagna elettorale dei boss, molto riservata. Ecco perché i giornalisti come Alessia Candito danno fastidio. Perché svelavano i patti segreti fra la nuova destra al potere e le mafie.

La nota della Direzione

Il tenore della conversazione intercettata tra il capogruppo di FdI alla Regione Calabria, Giuseppe Neri, e Daniel Barillà, genero del boss di ‘ndrangheta Domenico Araniti e in quanto tale uomo di raccordo tra il clan e la politica, e le considerazioni e gli apprezzamenti riservati in quella conversazione alla nostra Alessia Candito, raccontano, insieme, come si può fare giornalismo e come si può fare politica in terra di mafia.

Ebbene, del giornalismo, Alessia Candito è un esempio di cui la direzione di Repubblica è orgogliosa e che la direzione di Repubblica difenderà da ogni vigliacca intimidazione. Ma, appunto, a ben vedere, anche Giuseppe Neri è a suo modo un esempio. Della politica ostaggio dei clan. E per questo ci piacerebbe conoscere il giudizio su questa conversazione e su Giuseppe Neri della premier Giorgia Meloni o magari di qualche suo solerte e garrulo colonnello. Come Wanda Ferro, sottosegretaria di FdI al ministero dell’Interno (curiosamente colpita da afasia di fronte a questa indagine). O come l’onnipresente Giovanni Donzelli. Lo stesso che, appena qualche giorno fa, nello spericolato tentativo di giustificare le indegne chat di Paolo Signorelli, ormai ex capo ufficio stampa del ministro Lollobrigida, svelate dal nostro Giuseppe Scarpa, ha avuto il coraggio di chiedersi retoricamente cosa possano nascondere le conversazioni private dei giornalisti di Repubblica.

Il comunicato del Cdr

Il Comitato di Redazione, sapendo di interpretare il sentimento delle colleghe e i colleghi di Repubblica, è al fianco di Alessia Candito. I “giudizi” e le minacce nemmeno tanto velate rivoltele nelle conversazioni intercettate tra il capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione Calabria e un uomo di raccordo tra politca e i clan della ‘ndrangheta si commentano da sole. Perché questo è il clima, questa è la grande zona grigia che i cronisti non possono che raccontare, perché questo è il nostro mestiere. Altri, invece, non solo non solidarizzano mai con chi informa l’opinione pubblica (fondamentale compito in una democrazia), ma si inventano leggi perché le zone d’ombra rimangano tali. E potendo anche più nere.