La Lega per prima ha aperto le ostilità contro il presidente della Repubblica, nel silenzio interessato di Meloni. E l’era del fair play istituzionale sembra essere arrivata al termine

(di Sebastiano Messina – lespresso.it) – Diciamo la verità: nessuno si è stupito leggendo che il senatore Claudio Borghi aveva chiesto nientemeno che le dimissioni del presidente della Repubblica. A dispetto del suo curriculum accademico di «professore a contratto di Economia degli intermediari finanziari», Borghi è infatti un pittoresco personaggio della galassia leghista, uno che a nome dei no-vax pretendeva di dare lezioni di virologia al professor Roberto Burioni e ancora oggi, orgogliosamente no-euro, si presenta sui social con una banconota da diecimila lire con la sua immagine stampata al posto di quella di Alessandro Volta.

Dunque la sua sparata sarebbe stata archiviata rapidamente tra le rodomontate domenicali di un politico spaccone, se non fosse stata seguita da due eventi assai più significativi. Il primo è stato l’imbarazzato farfugliamento di Matteo Salvini. Ma il secondo, ancora più importante, è stato il silenzio di Giorgia Meloni, che ha lasciato passare più di 24 ore prima di dirsi «contenta che Salvini abbia chiarito», ma senza spendere una sola parola per il presidente della Repubblica.

L’episodio ha lasciato sul campo un dubbio, un’ombra, un sospetto: che tra Palazzo Chigi e il Quirinale stia per concludersi la stagione del fair play e del sorriso. Non certo per volontà di Sergio Mattarella, che ha sempre mostrato un rispetto sacrale per il ruolo super partes che la Costituzione gli assegna, assicurando una collaborazione piena e leale a tutti i presidenti del Consiglio che hanno giurato davanti a lui. Compreso Giuseppe Conte, il cui esordio fu accompagnato dai durissimi attacchi dei cinquestelle al capo dello Stato. E compresa anche Giorgia Meloni che allora depositò una richiesta formale per «mettere in stato d’accusa il presidente Mattarella per alto tradimento».

Il presidente ha saputo – e voluto – dimenticare tutto questo. Offrendo al governo del destracentro il suo aiuto, quando si è trattato di riparare gli strappi con Emmanuel Macron. Dichiarando la sua «piena solidarietà» alla premier dopo gli «insulti intollerabili» del governatore Vincenzo De Luca. Prendendo le difese della ministra Eugenia Roccella, contestata agli Stati generali della Natalità, contro chi «vuole mettere a tacere chi la pensa diversamente». Eppure, quando c’è stato bisogno di ricordare al governo quali erano i doveri dell’Italia verso l’Europa – invece di proteggere con norme di favore gli ambulanti o i titolari delle concessioni balneari – Mattarella l’ha fatto. E, quando la polizia ha caricato a Pisa gli studenti liceali, ha avvertito che «i manganelli sui ragazzi sono un fallimento». Insomma, ha mostrato nei fatti la sua autorevolissima imparzialità. E questo gli italiani l’hanno capito perfettamente, tanto è vero che tutti i sondaggi gli assegnano un indice di gradimento superiore di 20 punti percentuali a quello di Giorgia Meloni (che pure è la più popolare dei leader di partito).

In un panorama politico nel quale il peso della premier aumenta sempre di più, il presidente è dunque apparso come l’unico vero contrappeso costituzionale al potere dell’Esecutivo. Un contrappeso che finora Meloni ha accettato, fingendo di acconsentire anche quando poi ignorava gli ammonimenti del Quirinale (sui balneari, per esempio). Ma ora la sparata del senatore Borghi segnala che la Lega ha deciso di aprire le ostilità. Sapremo presto se questo è stato solo l’inizio dell’assedio al Quirinale.