(di Pietro Francesco Maria De Sarlo – ilfattoquotidiano.it) – Premetto che non voglio andare a vivere in Russia o in Cina. Lo dico prima che il solito idiota leggendo questa breve riflessione non se ne esca fuori con questa solita stupidaggine. Ritengo che occuparsi della qualità della nostra democrazia sia invece affar mio e di tutti noi, come occuparsi della del sistema politico russo o cinese sia affare di russi e cinesi. Mentre ci siamo qualche pensiero dovrebbe occupare anche le menti degli americani costretti a scegliere tra Biden e Trump e sul loro ruolo nel mondo, anche in Israele. Unicuique suum.

Detto ciò rilevo due cose per me degradanti per un sistema democratico: l’umiliazione della Storia e quella del mestiere di giornalista.

Sul primo non posso non provare fastidio che si usi l’anniversario dello sbarco in Normandia per fare propaganda bellicista, invece che utilizzarlo come riflessione su come evitare conflitti. Certamente dobbiamo molto agli Usa, che lasciarono sul campo 413.399 uomini pari allo 0,31% della loro popolazione, ma dobbiamo con onestà dire che senza il sacrificio di 25 milioni di russi, pari al 14,83% della popolazione dell’ex Urss, difficilmente sarebbe stato possibile sia lo sbarco sia la vittoria sul nazifascismo. Una vergogna che nessuno li ricordi.

Sempre per la Storia l’Ucraina nella circostanza combatteva più al fianco delle SS che a quello degli alleati. Una occasione persa per ricordarci alcune cose che sono fastidiose per la narrazione della propaganda guerrafondaia. La prima è che la Russia, fino a che non spostiamo gli Urali, fa parte dell’Europa, la seconda è che non tutto è iniziato nel febbraio 2022 ma che la storia europea è un filino più complicata in specie dalle parti di Ucraina, Russia e Polonia. Una memoria che ci aiuterebbe a comprendere che la pace in Europa è possibile se considerassimo che apparteniamo a un destino comune.

E veniamo al secondo punto che riguarda il mestiere di giornalista. Abbiamo assistito a una intervista a dir poco inginocchiata di Enrico Mentana a Yo soy Giorgia. Credo che questo debba far riflettere sull’intero sistema della informazione dove gli interessi degli editori possono spingere a genuflettersi nei confronti del governo di turno o a demonizzarlo in funzione delle politiche che porta avanti. Giorgia lo ha capito perfettamente al punto che non fa altro che portare avanti le politiche di Mario Draghi e dei liberisti, scansandosi opportunamente su quelle cose che possono dare fastidio al sistema imprenditoriale italiano abituato a vivere di prebende e favori.

A Giorgia mai verrebbe in mente di promuovere il salario minimo, l’abolizione del Jobs Act o lo smantellamento dei paradisi fiscali europei dove da Cairo e Mediaset e a Elkann godono tutti di trattamenti di favore. E devo dire che Giorgia il ruolo lo esercita con maggiore empatia sociale di Draghi con cui condivide appieno la politica estera.

La conclusione è un sistema così sgangherato che mentre Mentana pende dalle labbra della premier, gli altri sono sottoposti alla canea vociante di Gruber, Giannini o Sechi. Domande a raffica senza neanche mostrare un minimo di interesse per le risposte che i malcapitati ospiti, leader di altrettanti partiti, possono dare.

L’apoteosi è stata di Sechi che fa a Conte la furbissima domanda delle cento pistole: “Dove porrebbe il confine tra Russia e Ucraina, orsù risponda!” L’unico scopo di una domanda del genere è far irritare l’ospite togliendogli lucidità. A me che sono distante spettatore e che a mala pena riesce di soffocare il disgusto sarebbe venuto da dire: “Il confine lo farei a zig zag, o sinusoidale o merlato o ad mentula canis”.

La storia ci insegna che i confini sono solo una parte degli elementi negoziali, sul piatto della trattative ci sono sempre anche altre cose come la reciproca sicurezza o accordi economici in modo da dare un vantaggio complessivo a tutti i contendenti. La pace è possibile, ma a chi interessa?