La conferenza episcopale ha pubblicato una nota di forte critica verso la proposta, che accrescerebbe le diseguaglianze facendo venir meno il principio costituzionale della solidarietà. Dopo i rilievi mossi al premierato forte, questa nuova presa di distanza è la pietra tombale nel rapporto fra la destra nazionalista e populista al governo e la Chiesa italiana

(FRANCESCO PELOSO – editorialedomani.it) – La conferenza episcopale italiana proprio non manda giù il progetto di legge del governo Meloni sull’autonomia differenziata. 

Voci critiche rivolte all’esecutivo affinché tornasse sui propri passi si erano già levate nel corso dei mesi passati, provenienti in particolare dai vescovi del Meridione; nel marzo scorso sia il cardinale Matteo Zuppi, sia gli episcopati di Sicilia e Calabria, avevano mosso rimproveri sostanziali alla proposta del governo, la chiesa calabrese parlava esplicitamente di «secessionismo dei ricchi» con la richiesta di alcune regioni del nord di poter gestire in proprio gran parte del prelievo fiscale.

In tal modo però, notavano i vescovi calabresi, ci si dimentica che le tasse «hanno come criterio, in base alla Costituzione, la progressività del prelievo e l’universalità dell’accesso dei cittadini ai servizi pubblici. In altre parole le tasse sono in funzione di obiettivi di giustizia sostanziale e del superamento delle disuguaglianze tra le persone, non dei territori».

DIRITTI SOCIALI E CIVILI

Ora, con una nota dedicata alla questione, discussa nei giorni scorsi dall’intera assemblea della Cei svoltasi in Vaticano, la Chiesa italiana prende una posizione ufficiale, unitaria e inequivocabile, sulla riforma. Si tratta, per i vescovi, di un provvedimento che, se approvato, avrebbe conseguenze nefaste sulla stessa tenuta dell’unità nazionale, facendo venir meno, fra l’altro, quel principio di solidarietà che costituisce una delle basi più solide della nostra Costituzione.

Non per caso, nel documento, viene citato anche don Luigi Sturzo, un richiamo alle origini del popolarismo cattolico che pure promosse il sistema delle autonomie tenendo però conto dei vincoli solidali derivanti dalla «definizione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale».

Perché l’allarme lanciato dai vescovi è proprio questo, ovvero che l’attuazione dell’autonomia differenziata apra la porta a crescenti diseguaglianze e impoverimenti a tutto vantaggio delle regioni più ricche. È la stessa storia  «del paese – scrivono i vescovi – a dirci che non c’è sviluppo senza solidarietà, attenzione agli ultimi, valorizzazione delle differenze e corresponsabilità nella promozione del bene comune».

«Da sempre ci sta a cuore il benessere di ogni persona – si legge nella nota – delle comunità, dell’intero paese, mentre ci preoccupa qualsiasi tentativo di accentuare gli squilibri già esistenti tra territori, tra aree metropolitane e interne, tra centri e periferie. In questo senso il progetto di legge con cui vengono precisate le condizioni per l’attivazione dell’autonomia differenziata – prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – rischia di minare le basi di quel vincolo di solidarietà tra le diverse Regioni, che è presidio al principio di unità della Repubblica».

«Tale rischio – afferma ancora la Cei – non può essere sottovalutato, in particolare alla luce delle disuguaglianze già esistenti, specialmente nel campo della tutela della salute, cui è dedicata larga parte delle risorse spettanti alle regioni e che suscita apprensione in quanto inadeguato alle attese dei cittadini sia per i tempi sia per le modalità di erogazione dei servizi».

POVERTÀ E DISEGUAGLIANZE

Dopo che il presidente dei vescovi aveva posto l’accento sui rischi derivanti dalla riforma del premierato, voluta in modo specifico dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni – raccogliendo in tal modo il malcontento diffuso del cattolicesimo impegnato – la presa di posizione dei vescovi sull’autonomia differenziata, costituisce la pietra tombale nel rapporto fra la destra nazionalista e populista al governo e la Chiesa italiana.

D’altro canto, che le cose non stessero andando tanto bene lo si era compreso già dalla relazione introduttiva del cardinale Zuppi all’assemblea dei vescovi, quando aveva tracciato un quadro sociale abbastanza drammatico del paese, per altro prendendo spunto dagli ultimi dati diffusi dall’Istat.

Nel comunicato finale dell’assemblea generale della Cei, si leggeva in merito alla questione: «In sintonia con le parole espresse dal cardinale presidente nella sua introduzione, i vescovi si sono soffermati sulla povertà e sulle questioni sociali ad essa connesse, evidenziando l’aumento delle disuguaglianze e dell’emarginazione. In questo senso, alcuni progetti legislativi – è stato ribadito – rischiano di accrescere il gap tra territori oltre che contraddire i principi costituzionali. È in gioco il bene comune che può e deve essere promosso sostenendo la partecipazione e la democrazia, valori al centro della 50ª Settimana Sociale dei Cattolici, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio».

In questo passaggio è possibile leggere una doppia saldatura: in primo luogo quella fra crescita della povertà e il rischio di un ulteriore aumento delle diseguaglianze e del disagio sociale in forza della riforma dell’autonomia differenziata. Quindi viene sottolineato il nesso stabilito fra questo quadro generale e la necessità di un rinnovato impegno dei cattolici nella sfera pubblica che dovrebbe prendere il via alle prossime “Settimane sociali dei cattolici in Italia” (dal titolo: “Al cuore della democrazia”), evento che vedrà la partecipazione del capo dello Stato e di papa Francesco.