Per l’ex toga, un parallelo giudiziario tra Toti e Mani pulite è fuorviante: «All’epoca il finanziamento illecito, connesso alla corruzione, era un sistema. Per ora non mi sembra che dalle carte della Liguria emerga questo». Invece la riforma di Nordio «mette a rischio la coerenza del sistema»

(GIULIA MERLO – editorialedomani.it) – Gherardo Colombo, il paragone tra l’inchiesta in Liguria e Tangentopoli è subito arrivato, anche il suo collega Antonio Di Pietro lo ha parzialmente condiviso. Lei cosa ne pensa?

Premetto che conosco il caso ligure superficialmente, e che vale comunque la presunzione d’innocenza. Ciò detto, mi sembra di vedere una differenza marcata: all’epoca di Mani pulite il finanziamento illecito, connesso alla corruzione, era un sistema, ed era davvero raro che un appalto venisse aggiudicato a chi non avesse pagato per vederselo assegnare. I soldi andavano, occultamente, soprattutto ai partiti, ma anche a esponenti politici che li usavano per fini propri. Da quello che si legge, sembra che invece nelle ultime vicende il finanziamento venisse dichiarato, fosse cioè palese, mentre nascosto sarebbe stato solo il rapporto tra il finanziamento e la contropartita, il vantaggio per chi pagava.

Questo facilita o rende più opaco il reato?

Per certi versi facilita l’attività degli inquirenti, che possono verificare se, per i tempi e per altri elementi, i finanziamenti palesi al partito abbiano la loro causa nel connesso provvedimento della pubblica amministrazione che, pur se non contrario ai doveri d’ufficio, è punito pesantemente (massimo della pena 8 anni), dall’articolo 318 del codice penale. Per altro verso rende il lavoro più complesso, nella misura in cui è ovviamente necessario dimostrare che tra il pagamento e l’atto d’ufficio esista per davvero un rapporto di causa ed effetto concordato tra le parti.

Ormai il riferimento a Tangentopoli è diventato un luogo comune?

Diciamo che se ne fa un uso generalizzato nei casi in cui la corruzione sia legata alla politica. Per quel che si può capire allo stato non mi sembra però che dalle ultime inchieste emerga comunque l’esistenza di un sistema che connetteva così rigorosamente il finanziamento ai partiti e la corruzione, quale quello scoperto nelle indagini iniziate nel 1992. Le faccio un esempio dell’esistenza delle regole precise che disciplinavano il sistema. Per la costruzione della metropolitana, a Milano, tutte le imprese coinvolte nei lavori dovevano pagare, secondo tariffe prefissate, di importo diverso a seconda della complessità dei lavori. Raccolto il denaro, questo veniva distribuito tra i partiti che contavano in base, anche qui, a percentuali prestabilite così precise da comprendere anche numeri decimali. Non mi pare che l’accusa si riferisca a una sistematicità diffusa e organizzata di rapporti illeciti tra imprenditoria e politica, ma che invece – almeno al momento – riguardi comportamenti di singole persone.

Come valuta invece le reazioni della politica?

Non è che veda una grande differenza, se non – magari – per le forme. Si è allora cercato in tempi brevi di depenalizzare il reato di finanziamento illecito, per esempio. E ancora una volta vedo che la politica continua a riversare sulla responsabilità penale quel che dovrebbe essere affrontato appunto a livello di responsabilità politica. Piuttosto la vera differenza è data dalle reazioni dei cittadini. Durante Tangentopoli le reazioni della cittadinanza erano state molto forti, a volte anche eccessive, mentre ora pare che venga considerato normale che i rapporti tra politica e imprenditoria funzionino come starebbe emergendo all’indagine. Come se ci fossimo arresi a una constatazione di fatto, che le cose non possano andare in modo diverso.

Il guardasigilli Carlo Nordio ha commentato le misure cautelari. Anche che un ministro intervenga su un’inchiesta in corso è una novità.

Il ministro ha espresso un’opinione. Ai tempi di Mani pulite succedeva che i ministri intervenissero inviando ispezioni e promuovendo procedimenti disciplinari, e i governi modificassero le leggi che prevedevano i reati per i quali procedevamo. Per quel che riguarda l’osservazione relativa ai tempi della custodia cautelare, potrebbe darsi che i motivi che la giustificano permangano, o addirittura sorgano, anche dopo tempi consistenti dall’emergere di elementi di responsabilità. Il pericolo di inquinamento della prova può accompagnare non soltanto tutte le indagini, ma anche il dibattimento. Il ragionamento è analogo per il rischio di commissione di nuovi reati. Occorrerebbe verificare cosa ha scritto il giudice nel suo provvedimento per rispondere.

Ritiene però che il livello di insofferenza della politica nei confronti dell’azione della magistratura stia superando la soglia di guardia?

Guardi, già da quando abbiamo scoperto la P2 ho assistito a una certa resistenza da parte della politica nei confronti dei provvedimenti della magistratura. Io credo che l’insofferenza in particolare dell’esecutivo nei confronti del controllo giurisdizionale sia abbastanza costante e che abbia le sue ragioni storiche. La magistratura ha iniziato a occuparsi dei reati che riguardano il potere abbastanza tardi, perché fino agli anni Settanta ciò non avveniva, e infatti il rapporto era idilliaco. Poi, però, quando le toghe hanno iniziato ad applicare il principio costituzionale secondo cui tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, le insofferenze sono diventate costanti.

È stata questa insofferenza a guidare l’esecutivo a procedere con la separazione delle carriere?

Mi sembra che le modifiche costituzionali ipotizzate dal governo mostrino una insofferenza molto spiccata dei poteri legislativo ed esecutivo nei confronti della magistratura. Le modifiche, infatti, da una parte hanno conseguenze negative sulla indipendenza complessiva della magistratura, dall’altra eliminano quel poco che resta della cultura del giudice in capo al pubblico ministero, che diventando del tutto parte avrebbe l’unico interesse di vincere la causa, piuttosto che svolgere la funzione di pre giudice. L’opinione pubblica non si accorge che le riforme diminuirebbero le garanzie del cittadino, che si troverebbero davanti a un pubblico ministero per il quale non avrebbe più senso cercare anche le prove a favore dell’indagato, come invece capita ora.

Teme gli effetti di una riforma come quella ipotizzata da Nordio?

La completa separazione delle carriere, l’istituzione di due Csm separati, la sottrazione del potere disciplinare all’organo di autogoverno a mio parere mettono a rischio la coerenza dell’intero sistema costituzionale, basato sul riconoscimento della dignità di ogni persona e sulla conseguente uguaglianza di tutti davanti alla legge, preservata dall’indipendenza della giurisdizione. Io credo che sarebbe necessario, invece che procedere per separazione delle carriere, quindi delle culture, pensare a percorsi formativi comuni che coinvolgano anche l’avvocatura, e che diffondano tra tutti coloro che partecipano all’amministrazione della giustizia i dettati costituzionali riguardanti l’applicazione del principio di pari dignità, sia quanto a disposizioni che quanto a prassi. Le riforme prospettate non risolvono le disparità di opportunità tra imputato e imputato, la tendenza alla trasformazione sempre più marcata del carcere in discarica sociale, la marginalità della vittima nel sistema processuale, la visione della giustizia come luogo di perpetuazione, piuttosto che di soluzione del conflitto. In questo dibattito mi parrebbe singolare che non entrasse nella discussione la parola – sia come singoli che nelle loro aggregazioni – proprio di coloro cui è affidata dalla Costituzione la funzione, così delicata, sulla quale si intende incidere.