È una domanda che circola. Anche se nessuno ha risposte o intenzione d’imbracciare armi. Ma il pensiero provoca angoscia e la nostra libertà sta nel fatto che possiamo ancora accantonarlo

(di Ray Banhoff – lespresso.it) – Sabato pomeriggio di provincia in un’allegra cittadina con il corso pieno di gente che fa lo struscio. I negozi sono affollati, i bambini giocano, siedo al tavolo con degli amici per un aperitivo all’aperto. La clientela è giovane, qualcuno ha i figli, dietro al bancone i commessi hanno un look un po’ hippie con degli strambi trucchi tribali in faccia. Sono tutti gentili, sembra di essere in un quartierino di Londra. Si beve vino, si sgranocchiano patatine, poi a un certo punto il discorso devia: che faresti tu in caso di guerra?

Cambia l’atmosfera, si scherza ancora ma sempre meno, ci si fa razionali, si comincia a parlarne seriamente. Viene fuori che tutti cercherebbero riparo, ma anche che nessun riparo sarebbe possibile. Non sento nessuno parlare di imbracciare le armi e difendere la patria (nessuno sa sparare o possiede un’arma). Si parla di bunker da costruirsi in giardino come gli americani e di corsi di sopravvivenza organizzati da ex militari sulle colline di Livorno che si dice possano insegnarti a distillare l’acqua piovana e a preparare un fuoco.

Io penso che andrei a infilarmi in qualche casuccia sull’Appennino, un posto abbandonato dei tanti. Poi penso anche che sarebbe durissima senza viveri, magari senza riscaldamento o elettricità, senza mezzi di trasporto, isolati. E se dovessi mai difendermi dai miei simili? Vedo la scena, lo scontro, ho un brivido. Scaccio il pensiero chiedendo dove andremo a cena, perché è sabato e vogliamo tutti goderci la serata visto che il weekend dura poco. Si esce e non ci si pensa più.

Credo che l’Occidente sia questo, la possibilità di decidere se dedicarci o no a un problema oppure se lasciarlo riposare nell’inconscio per venirci a rovinare i momenti di quiete e ricordarci che, prima o poi, potremmo dover fare i conti con noi stessi.