ULTIMA TROVATA DELLA PREMIER – La leader FdI si candida per finta in Europa: “Sono una del popolo”. Deride Salvini assente: “Fa il ponte”. Sull’Ue: “Mai coi socialisti”. Frena su Draghi, attacca Conte e Report

(DI GIACOMO SALVINI – ilfattoquotidiano.it) – Dopo un’ora e cinque di discorso davanti alla platea zelante (applausi, standing ovation, cori da stadio), Giorgia Meloni si ferma. Ha appena annunciato la candidatura da capolista in tutte le circoscrizioni alle europee ma nella sala principale della conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara è sceso il silenzio. “Vi chiedo di scrivere il mio nome sulla scheda elettorale, ma il mio nome di battesimo”, cioè Giorgia. Il motivo è semplice: la premier non vuole dare l’impressione di essersi rinchiusa nel Palazzo e vuole tornare a una dimensione pop della sua leadership (“io sono Giorgia”). Lo dice: “Ve lo chiedo perché sarò sempre una di voi e mi ha colpito perché quando mi vedete mi chiamate Giorgia, non presidente o Meloni – aggiunge – mi hanno accusato di essere una borgatara o pescivendola, ma io sono una del popolo e non mi farò isolare dal Palazzo”.

Quella di indicare solo il nome nella scheda è un’astuzia elettorale ma si può fare. Basta che questa possibilità venga indicata. Il ministro Francesco Lollobrigida spiega che la premier sarà indicata come “Giorgia Meloni, detta Giorgia”. Quindi il solo voto per “Giorgia” non annullerà la scheda. Una trovata comunicativa ideata da lei e annunciata ai collaboratori (tra cui la sorella Arianna che sarà in Puglia per un comizio) che ha portato ai manifesti in giro per l’Italia (“con Giorgia)”, le brochure con scritto “scrivi Giorgia” e il fac simile della scheda.

Una tentazione plebiscitaria che serve anche come referendum sul suo governo, è il senso del discorso della premier davanti alla platea di FdI sulla spiaggia abruzzese. Prendere o lasciare. “Dopo l’Italia cambiamo l’Europa e io voglio fare la mia parte”, aggiunge la premier. E che sia un test sul governo lo dice chiaramente: “Va alzata la posta, smentiremo ancora i pronostici”. Certo spiega che non vuole “togliere tempo” alla sua attività di capo del governo ma attacca la segretaria del Pd Elly Schlein: “Non essendo la segretaria dem, confido che voi mi aiuterete”. Un paio di comizi dovrebbe farli, uno al Nord e uno al Sud prima della chiusura a Roma l’1 giugno. Il referendum sul governo porta con sè anche una sfida all’alleato Matteo Salvini che ieri ha disertato la presentazione. Il leghista si è solo videocollegato per un “impegno improrogabile” ma si è mostrato da via del Corso a passeggio con la figlia. La premier lo ha deriso spiegando che Salvini “ha preferito fare il ponte”. Poi i due si sono sentiti dopo il discorso della premier per chiarirsi. Ma le tensioni rimangono. E non è un caso che la premier abbia fatto un comizio identitario per coprirsi alla sua destra: immigrazione, natalità (“figli da padre e madre”) e sicurezza (“basta gli universitari che picchiano i poliziotti”).

Un messaggio a Salvini arriva anche quando parla di Europa: dice di volerla cambiare e quindi “non andremo mai coi socialisti” (Salvini l’aveva attaccata su questo) perché “non è nel nostro dna, vogliamo una maggioranza di destra”. Un passo indietro su Ursula von der Leyen che potrebbe essere la mediazione coi socialisti. Ammette che un conto sarà la maggioranza al Parlamento Ue, un conto la Commissione il cui presidente però dovrà essere condiviso con la sinistra. Eppure l’Italia – aggiunge – indicherà un proprio commissario e il dibattito sui presidenti non la “appassiona”: “È finito il tempo di chi apparecchia le nomine prima”, attacca Draghi. L’ex Bce ed Enrico Letta hanno scritto due rapporti per cambiare l’Ue ma Meloni è fredda: “Oggi ci danno ragione, ma un tempo eravamo euroscettici e negazionisti”.

Il resto del discorso (tra le otoliti) è un mix di elogi al suo governo e vittimismo contro i nemici: il leader del M5S Conte che ha messo “cinicamente la parola pace nel simbolo perché si fa con la deterrenza non con le bandierine colorate”, gli “eco-teppisti”, i “talebani verdi” e i “gufi”. Nel mirino finiscono i giornalisti che “vanno a cercare quello che non va nei Cpr in Albania” (Report, poi chiede l’applauso per Edi Rama “linciato da quella che chiamano TeleMeloni”), i giudici e Elkann. Nel retropalco compare il leghista Angelucci che sta comprando l’Agi dall’Eni e parla con Tajani e Lollobrigida. Prima era intervenuto anche La Russa: un attacco a Scurati per i soldi previsti per il suo monologo e la standing ovation della platea per Enrico Berlinguer.