Gaza: media, almeno 3 morti in un raid aereo di Israele su Rafah

(ANSA) – L’agenzia di stampa palestinese Wafa afferma che almeno tre persone sono state uccise e diverse altre ferite in un attacco aereo israeliano che ha colpito stanotte un edificio residenziale nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Il bilancio delle vittime nell’enclave palestinese dal 7 ottobre è di almeno 34.262 morti e 77.229 feriti, secondo il Ministero della Sanità locale gestito da Hamas.

DISTRUZIONE IN ARRIVO A RAFAH USA: COLPIRE HAMAS IN ALTRI MODI

(Roberto Bongiorni – il Sole 24 Ore) – Nella Striscia di Gaza c’è un bilancio, meno evidente di quello delle vittime (che ormai sono oltre 34mila), ma pur sempre drammatico. È quello delle strutture sanitarie ancora in piedi. Dopo sei mesi di guerra gli ospedali attivi sono soltanto undici. Peraltro funzionano solo in parte. Gli altri 26 sono out of service, fuori servizio.

Se l’offensiva terrestre contro la città di Rafah prenderà il via tra poco – come lasciano intendere le notizie provenienti da Israele – il colpo inferto a quello che era un sistema sanitario già fatiscente prima della guerra sarà durissimo. Sarà un “quasi colpo di grazia”. Con risvolti catastrofici.

La grande offensiva voluta dal Governo israeliano per distruggere gli ultimi quattro battaglioni di Hamas che si troverebbero a Rafah non è ormai più una questione di se ma di quando. Ed il quando sarebbe presto, anzi molto presto. Con queste tempistiche i media israeliani ritengono che scatterà l’operazione militare contro il terzo centro abitato della Striscia di Gaza, proprio a ridosso del confine con l’Egitto.

Ma in questa guerra le parole hanno una loro flessibilità. […] «Presto» può dunque significare diverse settimane oppure solo pochi giorni. Dipende a cosa, ed a chi, si darà priorità: al piano di distruggere Hamas quanto prima oppure a quello di evacuare oltre un milione di civili.

L’esercito israeliano ha terminato tutti i preparativi necessari per entrare a Rafah e potrà lanciare un’operazione non appena avrà ottenuto l’approvazione del governo […]. Tutto è pronto, da un punto di vista militare. Ma niente è pronto da quello umanitario. Spostare un milione di persone rappresenta una sfida logistica enorme. Che richiede comunque del tempo – si parla di non meno di tre settimane – se fatto in sicurezza.

Una fonte del Governo israeliano ha detto che il Gabinetto di guerra prevede di incontrarsi nelle prossime due settimane per autorizzare l’evacuazione dei civili, che dovrebbe durare circa un mese. Questa, però, è la prima ipotesi, ovvero quella che prevede di trasferire i palestinesi presenti a Rafah in grandi tendopoli. Già a metà febbraio erano circolate notizie sui media israeliani secondo cui il Governo stava pianificando di creare sulla spiagge della Striscia 15 tendopoli da 25mila tende ciascuna.

L’area individuata per questi ipotetici campi per sfollati sarebbe quella che parte da al Mawasi, quindi all’altezza di Khan Yunis verso nord. Negli ultimi giorni sta prendendo forma anche una grande tendopoli a Khan Younis. Ogni tenda potrebbe ospitare dieci persone. Ma c’è anche un’altra pista. Ovvero un’offensiva scaglionata. Quadrante per quadrante. In modo da essere sferrata senza evacuare tutta la popolazione.

Se l’esercito israeliano ha ripetuto di essere pronto, non sembra esserlo la diplomazia americana. La sola che potrebbe rallentare i piani di Bibi. «Gli Stati Uniti restano contrari ad una operazione su vasta scala a Rafah» e «continuano le conversazioni con Israele» .

«Vi sono altri modi per colpire Hamas», ha detto ieri sera il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, definendo «inquietanti» le notizie sulle fosse comuni rinvenute a Khan Younis e chiedendo «chiarimenti». Le prossime settimane racconteranno questa nuova fase della guerra. Che rischia di essere tragica. Nessuno recede dalle sue posizioni. Non Israele, deciso a portare avanti la battaglia che lo porterà – secondo i suoi strateghi – alla “vittoria finale”. E neppure l’Egitto, che ieri ha ribadito la sua posizione; non accoglierà un fiume di profughi palestinesi in fuga dalla guerra.