Già 150 i casi, rischio di contagio per i maiali: “Va ridotto il numero degli ungulati per salvare gli allevamenti”. Dove però non c’è stato nessun caso

(Francesco Nani, Giacomo Talignani – repubblica.it) – Parma — «Siamo chiari: quello che sta succedendo va trattato come un’emergenza, altrimenti non ne usciamo». Il direttore del Consorzio Prosciutto di Parma, Stefano Fanti, lo dice senza mezzi termini: «La preoccupazione c’è, la paura per la peste suina qui è forte».

Le segnalazioni ai confini

Come ricorda lui stesso, il problema del virus che dal 7 gennaio 2022 ha fatto scattare l’allarme per il comparto suinicolo italiano, non riguarda la salute dell’uomo, che non può essere contagiato, ma quella sul futuro di aziende e famiglie. Negli ultimi mesi il cuore della Food Valley, Parma e il suo distretto del prosciutto, è sotto attacco: i ritrovamenti di carcasse di cinghiali infetti da peste suina sono avvenuti di recente sempre più vicino ai paesi protagonisti nella produzione di salumi. In Emilia Romagna i casi sono ormai diventati 150 (soprattutto tra Piacenza e Parma) e crescono le segnalazioni ai confini, per esempio in Liguria. Dopo gli ultimi ritrovamenti il 17 aprile scorso l’Unione europea ha pubblicato di conseguenza un nuovo regolamento che amplia le “zone soggette a restrizione”.

Vietate le esportazioni in Canada

Questo significa che per esempio nel Parmense «circa 15 stabilimenti specializzati in salumi ora non potranno più esportare in Canada. I canadesi non accettano prodotti provenienti da zone sotto restrizioni», specifica Fanti.

L’eccellenza italiana

Per il comparto dei prosciutti, eccellenza italiana, l’incubo va avanti da due anni. «Dal primo caso in Italia purtroppo c’è stato un riflesso importante, una bastonata per il settore, dato che Cina, Giappone e Messico hanno bloccato le importazioni. Da lì è iniziato un percorso per tentare di arginare i contagi fra cinghiali, ma è stato insufficiente a risolvere il problema», spiega il direttore.

L’export con Stati Uniti e Australia

Per fortuna il mercato principale, gli Stati Uniti, permette l’import di prodotti stagionati da 400 giorni, così come l’Australia. «Ma se non si lavora da subito per scongiurare la diffusione si correranno rischi seri: dovesse passare dai cinghiali ai maiali, in caso di diffusione negli allevamenti allora verrà a mancare la materia prima proprio come accaduto in passato a Pavia dove sono stati abbattuti migliaia di capi».

Ma nessun contagio negli allevamenti

Il contagio nel Parmense non è entrato negli allevamenti suinicoli ma interessa soltanto la fauna selvatica: per precauzione però l’Ausl invita perfino i cittadini “al rientro da una passeggiata, gita o escursione, prima di risalire in auto e rientrare a casa, a cambiarsi le scarpe e riporle in un sacchetto per poi pulirle con cura”. Se Langhirano, cuore del Prosciutto di Parma Dop, resta un passo indietro nella nuova scala di allerta Ue, l’ingresso in “zona rossa” di aree altrettanto vocate alla produzione di salumi come Felino e Sala Baganza è oggi monitorata con grande attenzione anche dalla Flai Cgil, sindacato degli alimentaristi. «La situazione è sicuramente molto delicata, soprattutto dal punto di vista sanitario e dell’opinione pubblica», sottolinea Matteo Lanini, segretario generale Flai.

Ancora nessuna crisi aziendale

Il Consorzio del salame di Felino, ad esempio, raggruppa 14 aziende produttrici con circa 500 addetti tra lavoratori diretti e legati all’indotto. «Al momento non ci sono situazioni di crisi aziendali o richieste di ammortizzatori sociali ma il quadro è in evoluzione e l’auspicio è che venga garantita la continuità produttiva». Per l’assessore regionale all’agroalimentare Alessio Mammi è dunque «indispensabile salvaguardare l’export, riaprire i mercati di Giappone e dell’estremo oriente, avere un confronto con la Ue sui selvatici infetti», visto che «se viene trovata una carcassa a 15 chilometri da un salumificio, a quest’ultimo vengono subito imposte limitazioni».

Il futuro della filiera

La strada da percorrere per la Regione, che lancia un Sos, è unica: «Ridurre drasticamente il numero dei cinghiali eradicando il virus per salvare gli allevamenti e le esportazioni di carne di maiale, perché il rischio di ricadute dell’epidemia sulle imprese e sull’occupazione è drammatico». Coldiretti lo quantifica: in ballo il futuro di una filiera «da 20 miliardi di euro». Un rischio che poteva essere prevenuto? Se si parla con gli operatori del settore il dito è puntato contro i ritardi, anche del governo, come quelli “per lungaggini burocratiche” sulle conferme del commissario straordinario, oppure sulle azioni come recinzioni e misure di sicurezza che non sono state prese.

“L’esercito contro i cinghiali”

«Ma ora non possiamo guardare al passato — dice il direttore del Consorzio del Prosciutto — perché non c’è più tempo da perdere. Serve un passo in più: l’esercito contro i cinghiali, fondi per biosicurezza, trappole e recinzioni, ma anche per i cacciatori. Non ci servono i ristori domani». Richieste che ieri, davanti a 150 allevatori, il commissario straordinario sulla peste suina, Vincenzo Caputo, ha detto saranno presto accolte, promettendo interventi dei militari, abbattimenti e indennizzi.

L’eradicazione della peste suina

Ma finché la peste suina non sarà eradicata, nella terra dei prosciutti non «si potranno dormire sonni tranquilli — chiosa Fanti —. Se passa ai nostri maiali saremo costretti ad abbattere migliaia di capi e questo comporterà prezzi sempre più cari per i consumatori. Un pericolo che non possiamo permetterci».