FINANZA PUBBLICA – Mentre i tecnici stroncano il Def, la riforma delle imposte prevede l’una tantum sulle tredicesime per i dipendenti con redditi fino a 15 mila euro

(DI NICOLA BORZI – ilfattoquotidiano.it) – L’originale risale a dieci anni fa. Ad aprile 2014 Matteo Renzi, segretario del Pd da tre mesi presidente del Consiglio, annunciò il bonus da 80 euro al mese in tasca a 11 milioni di italiani. La mossa costava 9 miliardi l’anno allo Stato e divenne strutturale con la legge di Stabilità 2015. Alle elezioni europee del 25 maggio successivo il Pd raggiunse il 40,81%, record mai raggiunto prima né dopo. Alle prese con un’altra campagna elettorale per le Europee, Giorgia Meloni ci riprova: nuovo bonus da 80 euro, ma una tantum, solo per le tredicesime di chi dichiara meno di 15mila euro l’anno. Platea che comunque riguarda un quarto dei lavoratori dipendenti. Intanto le audizioni sul Def stroncano le previsioni di finanza pubblica, sulla quale impatterà la riforma del Patto di Stabilità Ue al varo oggi. Il risultato per il governo è uno solo: la manovra d’autunno sui conti è sempre più ardua.

La mossa da 80 euro, prevista già a Natale, è contenuta nell’articolo 4 del decreto di riforma di Irpef e Ires che oggi va in consiglio dei ministri. La misura riguarda per ora solo il 2024, “nelle more dell’introduzione strutturale di un regime fiscale sostitutivo”. Ma l’ammontare del bonus sarà definito con un decreto del Mef che andrà adottato però entro il 15 novembre, “sulla base delle maggiori entrate derivanti dal concordato preventivo biennale per le partite Iva”. È l’ennesima mossa a valere su attese di maggiori incassi dell’Erario, il cui costo però non è noto. Il viceministro all’Economia Maurizio Leo smentisce quelle che definisce “indiscrezioni”, ma la bozza di decreto che circola contiene anche la detassazione del 10% dei premi di produzione erogati nel 2025.

Intanto il Def “senza cifre” viene smontato pezzo per pezzo dai tecnici, nelle audizioni alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato. Secondo l’Istat, che smentisce il governo, il deficit pubblico 2023 è stato del 7,4% e non del 7,2%, il record in Europa: la procedura d’infrazione Ue si fa concreta e più difficili molte misure annunciate dal governo, come la conferma del taglio del cuneo fiscale o l’Irpef a tre aliquote. La Corte dei Conti stronca le incertezze sul fabbisogno di finanza pubblica e in particolare per la sanità: “Il fabbisogno del settore sanitario, come altri del welfare, dovrà essere attentamente riconsiderato per evitare che il rispetto delle traiettorie di spesa si traduca in un progressivo decadimento della qualità dell’assistenza pubblica o che impedisca una compiuta (e quanto mai necessaria) riforma dell’assistenza territoriale”. “Se ce ne fosse stato bisogno, anche la Corte dei Conti smentisce il racconto di Meloni sui suoi immaginari investimenti in sanità”, rileva Elisa Pirro, capogruppo M5S in Commissione bilancio del Senato.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti incolpa le tensioni internazionali: “L’incertezza e la volatilità che da tempo caratterizzano lo scenario internazionale non accennano a diminuire. Le tensioni geopolitiche che si accumulano pongono rischi elevati per le prospettive di crescita di medio periodo. In questo contesto, ogni esercizio di previsione, per quanto accurato e basato su ipotesi improntate alla massima cautela, potrebbe essere superato dagli eventi”. Giorgetti continua a indicare nel Superbonus il responsabile di tutti i problemi di tenuta dei conti pubblici. Quanto alla revisione del deficit 2023 al 7,4% da parte dell’Istat “non incide sulle previsioni contenute nel Def, in quanto già scontate nel profilo del livello del debito in percentuale sul Pil. L’aggiornamento del quadro programmatico, coerente con le nuove regole della governance economica europea, sarà illustrato nel piano predisposto entro l’estate, che il Parlamento avrà modo di esaminare e approvare prima dell’invio” all’Europa, ha detto Giorgetti. Il riferimento è alla riforma del Patto di Stabilità Ue che sarà votata oggi definitivamente dall’Europarlamento. I partiti arrivano spaccati al voto: contrari sinistra, Verdi, M5S e destra (per ragioni opposte), a favore Socialisti, Liberali e Ppe. Il Pd, dopo l’indicazione della segretaria Schlein di votare contro, potrebbe però astenersi per evitare di sconfessare il commissario Gentiloni. Anche gli eurodeputati leghisti hanno molti mal di pancia contro l’accordo, che pure era stato firmato dal ministro Giorgetti.