Il giornalista: «Il miglior alleato del governo è il populismo di sinistra. Meloni indica un privato cittadino, in questo caso Scurati, esercitando a suo favore una sproporzione di potere enorme. Per presentare il mio nuovo romanzo mi hanno invitato tre trasmissioni. Subito dopo però la partecipazione è stata bloccata»

Saviano 
(di Marco Imarisio – corriere.it) – Roberto Saviano: lo scorso autunno, a puntate già registrate, è stata cancellata la sua «Insider. Faccia a Faccia con il crimine»

«Non è mai bello dire io l’avevo detto, ma purtroppo è così, io l’avevo detto».

Roberto Saviano, si riferisce alla mancata messa in onda della sua trasmissione «Insider»?
«Quando è successo a me, in molti hanno taciuto credendo che si trattasse solo della mia persona. Mentre l’antifascismo è un valore condiviso almeno da una parte democratica e importante del Paese, l’antimafia non lo è: continua a essere relegata a tribunali o spazi lontani; quindi, non ci si muove o si reagisce con egual solerzia. Non è considerata fondamentale per la democrazia e la libertà».

Veniamo al caso Scurati. È giusto parlare di censura anche dopo la pubblicazione di quel testo da parte di Giorgia Meloni?
«Ma certo. Anzi. Quel gesto da parte della presidente del Consiglio è il solito atto intimidatorio, perché indica un privato cittadino, come sempre fa Meloni, additandolo come un suo nemico, ed esercitando a suo favore una sproporzione di potere enorme. È il suo metodo abituale».

Ritiene di averlo subito anche lei?
«Un anno fa alla chiusura del Festival di Atreju mi attaccò dicendo che guadagnavo parlando di camorra. Oggi, i media di destra scrivono che Antonio Scurati fa soldi con il fascismo. Questo tipo di attacchi sono mirini sui corpi di alcune persone che vengono poi bersagliate dalla comunità dei sostenitori di Meloni. Aver pubblicato il discorso di Scurati sui suoi media è una sorta di toppa da ufficio stampa, messa dopo il clamore suscitato dalla censura. Ma lei non lo fa per difendere quelle parole. Al contrario, lo fa per aizzare la sua comunità contro quelle parole».

Qualcuno vuole distruggere la Rai, come sostiene l’amministratore delegato Roberto Sergio?
«A mio avviso, Sergio lascia intravedere una sorta di complotto per sabotare la Rai attraverso Scurati, ed è qualcosa che fa ridere in modo amaro. Gli chiederei: e tutti gli altri casi di censura avvenuti finora? Allora, che mandi in onda il mio Insider, per fare un esempio. Sergio dovrebbe cominciare a riparare agli errori che ha fatto lui, naturalmente su indicazione politica. La Rai l’hanno già distrutta loro, in pochi mesi».

Nel 2024, vale la pena di morire non per Danzica ma per la Rai?
«In Italia, la televisione continua a orientare il voto, mentre in altri Stati come Usa, Inghilterra e Francia è ormai sostanzialmente irrilevante. Da noi mantiene invece una sua centralità, e anzi non la sta diluendo nel web. La ragione sta nella nostra altissima età media. Siamo uno dei Paesi più anziani del mondo. Dunque, la televisione pubblica ha ancora un ruolo fondamentale, anche perché gli anziani sono la categoria che va di più a votare».

Quello di Scurati era un testo che doveva parlare del 25 aprile oppure un manifesto politico?
«A dirla tutta, più che un manifesto mi sembra la cornice di un dibattito politico. L’ho letto come un atto non di parte, ma di scelta: il punto dal quale deve iniziare qualsiasi discorso politico, conservatore, liberale, progressista, ovvero il ripudio del fascismo».

Lei davvero pensa che Meloni si stia ispirando a Mussolini?
«Per nulla. Io penso che stia costruendo il Paese ispirandosi a Orban, a quella forma di democrazia illiberale. Lo può fare grazie a opposizioni molto deboli e divise, e grazie alla parcellizzazione dei media. L’opinione pubblica in mano agli influencer, come la stessa Meloni, genera cattiva informazione. Nell’indistinto dei social, l’informazione perde di qualità e di approfondimento. E questo ha permesso una dinamica di perenne populismo, che coinvolge anche l’opposizione, perché il populismo di sinistra è il vero grande alleato di questo governo».

Anche lei crede che in Italia non ci sia libertà d’espressione?
«No, affatto. C’è libertà d’espressione, ma ad alcuni è resa difficile. Il messaggio è chiaro: se volete lavorare, se volete guadagnare, abbassate la testa e siate silenti sul governo. Come è capitato a me, a Michela Murgia, ad altri. E la maggior parte di coloro che oggi protestano sulla Rai, si sono allineati. Sulla vicenda Scurati hanno dato invece la loro solidarietà perché si tratta di una vicenda esorbitante e simbolica. Si sono mossi in tanti, quindi non c’è rischio di essere controllati e danneggiati. Quando si è moltitudine, il proprio nome non pesa».

Sta dicendo che per la sinistra esistono epurati buoni ed epurati cattivi?
«Nel mio caso, si sono mossi in pochissimi. Erano preoccupati di essere visibili, e quindi conteggiati. Molti intellettuali tra quelli che hanno dato giusta solidarietà a Scurati, non hanno alzato un dito per la chiusura della mia trasmissione. Le ragioni sono chiare. La vedevano come una battaglia personale tra me e il governo, quindi era colpa mia, che mi sono esposto, avranno detto “sono c… suoi”. Nessuno ha sentito la propria libertà minacciata. Anzi, me la sono cercata. Un concorrente in meno».

Adesso le cose sono diverse?
«Ora è anche più facile esprimere solidarietà di fronte a una cosa così grave. Ora le cose sono evidenti a tutti. Benché sembri che ci sia uguale solidarietà intorno alle figure prese di mira dal governo, le differenze esistono. Quando Meloni dal palco di un convegno chiese alla folla se dovesse lasciar cadere la querela nei miei confronti, qualche collega mi scrisse in privato che la cosa mi rafforzava, perché mi poneva al centro del dibattito. Non è vero. Si crea invece un profondo isolamento. E infatti tutti imparano la lezione: non prendono posizione, se non quando sono in tanti e si sentono obbligati a farlo».

Meloni ha negato di essere intervenuta sul caso Scurati.
«Per presentare il mio nuovo libro mi hanno invitato tre trasmissioni Rai, che subito dopo hanno bloccato la mia partecipazione, dicendo che volevano ma non potevano. Allora ho chiamato il direttore generale Giampaolo Rossi, uomo di Meloni. Un colloquio cordiale. Mi ha detto che venendo da una cultura che lui considera censurata, non eserciterebbe mai la censura nei miei confronti. Allora ho contattato le tre trasmissioni, seguendo le sue indicazioni, e ho detto che c’è il via libera da parte del loro capo. “Ma comunque è meglio di no” è stata la risposta di tutte e tre. Non c’è manco bisogno di dare un ordine, la censura va in automatico. Perché questo è un governo che ha creato un clima di paura».