La cosa sconcertante è che questa destra – che proprio non riesce a dichiararsi antifascista – “sia indietro di vent’anni” (Flavia Perina sulla “Stampa”). Ma, soprattutto, che non conservi più memoria di se stessa di quando, trent’anni […]

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – “A un certo punto, più o meno all’angolo con corso Buenos Aires, spuntò un gruppo di 200 persone con le bandiere della Lega. Ci fu una specie di ruggito, partirono insulti e non solo. Bossi, che era sul palco, disse più o meno: ‘Ma sì, le manifestazioni popolari sono così, normale che ci sia un po’ di rabbia. Ma il nostro posto è lì, noi siamo antifascisti’. L’anno dopo, il 25 aprile 1995, la Lega sfilò ancora nel corteo a Milano. Non ci furono sassi e insulti ma applausi, ovviamente”. “Il Post”

La cosa sconcertante è che questa destra – che proprio non riesce a dichiararsi antifascista – “sia indietro di vent’anni” (Flavia Perina sulla “Stampa”). Ma, soprattutto, che non conservi più memoria di se stessa di quando, trent’anni fa, sfilava con Umberto Bossi nei cortei del 25 aprile e quattordici anni fa celebrava la Liberazione con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Si potrebbe obiettare che oggi le destre di governo sono almeno tre e che Lega e Forza Italia non vanno confuse con i Fratelli d’Italia con Fiamma incorporata. Infatti. Partiamo dal fondatore del Carroccio che volle il movimento saldamente ancorato ai valori della Resistenza e non soltanto per distinguersi da “Berluskaiser” (così lo appellava nei momenti grigi dell’alleanza). In che misura Matteo Salvini abbia saputo fare strame di quella eredità è sotto gli occhi di tutti: pronti noi a ricrederci se, come annuncia smarcandosi da Giorgia Meloni, “festeggerà la Liberazione del nostro Paese”. Veniamo a Silvio Berlusconi e al discorso che il 25 aprile del 2009 l’allora premier pronunciò a Onna (L’Aquila) all’indomani del tragico terremoto d’Abruzzo. Un testo, va riconosciuto, di alto valore ideale a cui purtroppo egli non seppe dare seguito impantanandosi nella versione peggiore del potere degradato. Sono sufficienti le frasi conclusive per comprendere quale fosse lo spirito di quella giornata: “Viva l’Italia! Viva la Repubblica! Viva il 25 aprile, la festa di tutti gli italiani che amano la libertà e vogliono restare liberi! Viva il 25 aprile, la festa della riconquistata libertà”. Se fra poche ore Giorgia Meloni riuscisse a ripetere anche soltanto le ultime nove parole pronunciate, non dal presidente dell’Anpi ma da Silvio Berlusconi (“Viva il 25 aprile, la festa della riconquistata libertà”), non darebbe un contributo forse determinante a quella pacificazione degli italiani troppo spesso auspicata ma non abbastanza praticata dalla sua parte politica? Derivata da quella destra che, a gennaio del 1995, a Fiuggi, nelle tesi fondative di Alleanza Nazionale aveva sull’antifascismo (ricorda Perina) compiuto la svolta più esplicita e netta: “È giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato”.

Inevitabile, oggi, mettere a confronto la destra repubblicana e costituzionale di Gianfranco Fini con la destra nostalgica e revisionista di Ignazio Benito Maria La Russa. Poiché il 25 aprile non si esaurisce nella celebrazione di una ricorrenza stampata nella mente e nel cuore della stragrande maggioranza degli italiani. È anche il confine ideale per comprendere se e quanto la sua destra di governo, presidente Meloni, intenda essere europea e guardare avanti. Oppure preferisca starsene rinchiusa nei soffocanti bassifondi della politica.