(UGO ROSA – glistatigenerali.com) – Dall’Unità ad oggi, con progressione inesorabile e apparentemente irreversibile, questa nazione è – tra tutte quelle del pianeta – la vera patria d’elezione della classe sociale più servile, ignobile e meschina: la piccola borghesia. Direi anzi che oggi l’Italia è il paradiso culturale – oltre che tutto sommato anche fiscale – del piccolo borghese; se solo riuscissi a immaginarmi questo vermiforme soggetto in un luogo che non sia un paludoso e putrescente purgatorio.

Fascismo, qualunquismo, doroteismo, craxismo, berlusconismo, leghismo, renzismo, populismo…fino a quest’ultima resistibilissima e risibilissima ascesa della supplente coi capelli gialli e il tailleur, la figurina del Duce infilata dentro le mutande e una mandria di bidelli che le prepara il caffè nel sottoscala.

Tappe di un percorso trionfale e, sembra, inarrestabile.

Prodi, Berlusconi, Fanfani, Scelba, Draghi, Bossi, Calenda, Letta (zio e nipote), Guglielmo Giannini, Santanchè, Renzi, Nordio, Meloni…sfaccettature di un unico diamante. Che il successo arrida occasionalmente all’uno o all’altro è irrilevante. Ciò che conta è il gioco, non la partita. E perché il gioco continui le figure del caleidoscopio non solo possono ma devono mutare. I tasselli si disporranno diversamente ma sono sempre gli stessi e a cambiare sarà solo un’immagine. Quello che conta è intrattenere e divertire l’enorme platea di quell’infima borghesia – bottegai, tassisti, padroncini di niente, laureati frustrati, impiegati di concetto, Bouvard e Pecuchet d’ogni tipo – inferocita e serva, che quand’è il momento andrà a linciare il suo capro espiatorio oppure affluirà ai seggi elettorali in cambio della promessa di qualche miserabile prebenda, del mantenimento di una briciola di privilegio o anche solo di un’elemosina, imprecando ovviamente contro tutto e tutti…ma solo fino a che non la sente nessuno.

Che questo rituale vuoto e ipocrita, ridotto a pura superstizione, abbia ancora a che fare con la democrazia è cosa che solo a pensarci fa ridere tanto quanto le fiere concioni sulla libera stampa e sui giornalisti indipendenti. Ci si chiede com’è possibile che qualcuno possa crederci ancora o anche solo far finta…poi si vede e si ascolta il panegirico di un rappresentante porta a porta dello Status come Roberto Benigni e si capisce che tutto è possibile: la vita è bella se la si rappresenta come tale e se per qualcuno non lo è pazienza. E’ sempre e comunque questione di rappresentazione.

E infatti questa democrazia “rappresentativa” non è mai stata così rappresentata.

Sembra il teatro di Piscator riconfezionato per l’Ariston con la direzione artistica di Peppe Vessicchio a uso di don Matteo; palcoscenico e platea ruotano e si scambiano periodicamente di posto, mentre un mentecatto con la chitarra se la canta e se la suona aspettando la ricompensa come in trattoria. Gli spettatori della farsa ne sono anche attori e viceversa. Cambia appena l’abito di scena ma a volte neanche quello perché, la si giri come vuole, il fulcro culturale resta sempre lui, l’infimo borghese.

Cinico, ipocrita, bigotto, retoricamente sentimentaloide, propenso ugualmente alla lagna e al bullismo, feroce coi perdenti, viscido coi vincenti.

La sua vera grande festa religiosa e nazionale non è, come una volta, quella del Santo Patrono, il Natale, il Capodanno o il Carnevale: è Sanremo. Vi si inebria annusandosi le ascelle come Otto West in “Un pesce di nome Wanda”; si riflette in quello specchio sberluccicante e ogni maledettissimo febbraio gli domanda chi il più bello del reame. Quello puntualmente gli risponde che è proprio lui.

E lui, si bea delle stesse minchiate, si stupisce delle stesse trovate, si scandalizza di ciò di cui neppure Sant’Agnese – patrona delle vergini e delle fidanzate – ormai si scandalizzerebbe e discute per giorni di aria fritta: Amadeus, Fiorello, Benigni, lo scemo del villaggio che fa finta di dare di matto com’era previsto e codificato fin dalla notte dei tempi e come succede ogni stramaledetta volta, il comico irriverente che può risultare irriverente solo per chi va a buttane dopo la messa.

E tutto questo mentre uno dei rappresentanti di questa rappresentazione, il Guardasigilli Nordio (notoriamente garantista) condanna allegramente a morte un anarchico che non ha mai ammazzato nessuno.

Ma non c’è nulla di paradossale in questo.

Perché la barbarie piccolo borghese, come l’Europa (non) ha imparato a sue spese, ha sempre due facce: la bonaria e ridanciana e l’animalesca e spietata. E sono sempre due facce della stessa medaglia: quella con cui Mattarella (divertito, divertente e sempre dignitosamente presente in prima serata a Sanremo) assegna le decorazioni a chi se le merita.

Se questo non è il paradiso della più infima e putrida borghesia dell’universo mondo allora quel paradiso non esiste.