Il caso Cospito tra diritto, politica e giornalettismo

(Stefano Rossi) – Da più parti sento dire che si potrebbe alimentare coattivamente l’anarchico Cospito. Sarà vero?

Vado subito al nocciolo della questione, ovvero il conflitto tra due diritti costituzionalmente protetti: il diritto a rifiutare un trattamento sanitario se non obbligatorio (art. 32 Cost.), e il diritto affinché la pena non degradi il detenuto (art 27 Cost.).

Vediamo più da vicino le due norme.

Art. 32, II comma, Costituzione: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Art. 27, III comma, Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità…”.

Pertanto, quando un detenuto si ostina a non alimentarsi al punto da mettere a rischio la sua integrità fisica e psichica, vi sono due diritti contrapposti che collidono.

Fino a che punto si deve rispettare la volontà del detenuto che non intende alimentarsi?

Fino a che punto è lecito insistere e, con mezzi coercitivi forzati, obbligarlo ad assumere cibo?

In quest’ultimo caso, costituisce violenza o, peggio, tortura?

E se lo si lasciasse morire, sarebbe un trattamento disumano che non ha rispettato la dignità dell’individuo?

È chiaro, in prima analisi, non si può lasciare la risposta alla Polizia penitenziaria, la quale, oltre agli annosi problemi atavici del settore, non può assumersi l’onere, anzi, l’obbligo di risolvere un caso del genere.

Si tratta di due diritti fondamentali che confliggono e che, adottando una delle due soluzioni, porterebbe a gravi conseguenze sul piano giuridico, morale, professionale.

Con il rischio di finire sul banco degli imputati e financo davanti al giudice civile per una richiesta di risarcimento danni da parte degli eredi del defunto detenuto ovvero per richiesta danni da parte dello Stato per aver pagato i danni morali al detenuto.

La prima analisi che un giurista deve affrontare riguarda la normativa europea.

Diritto Europeo.

L’art 3 CEDU: “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, molti simile a quanto disposto dall’art 27, cit., dispone: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

L’art. 2 CEDU: “Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge.

Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena”.

Purtroppo, né in sede comunitaria, né nel nostro ordinamento interno è prevista una norma che vada a disciplinare il caso di conflitto tra queste norme.

Inoltre, le norme qui citate fanno parte delle disposizioni fondamentali sia della CEDU che della Costituzione italiana. Sono tutte importanti e non possono subire eccezioni.

Da  alcuni casi processuali discussi  in sede comunitaria è emerso che il personale penitenziario non può rimanere passivo ma deve informare i medici, i quali, a loro volta, devono comunicare a più riprese con il detenuto per capire se ci sono margini per obbligarlo ad assumere alimenti.

Nel caso Yakovlev, deciso l’8/12/2022, il personale sanitario e penitenziario avevano proceduto all’alimentazione forzata; è  stata riconosciuta anche la violazione dell’art. 8 CEDU, nella parte: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata…Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto…”. 

La Corte di Giustizia Europea ha condannato lo Stato convenuto al risarcimento dei danni lamentati.

Diritto italiano.

Oltre alle norme di riferimento citate si deve fare riferimento all’Ordinamento penitenziario, il quale, all’art. 41, prevede l’uso della forza fisica: “…ma  solo al fine di evitare danni a persone o cose  o  di garantire la incolumità dello stesso soggetto. L’uso deve essere limitato al tempo strettamente necessario e deve essere costantemente controllato dal sanitario“.

Se questa norma lascia più libertà di movimento, diciamo così, è pleonastico aggiungere che il limite è quello imposto dai due articoli della Costituzione e, dalla sua entrata in vigore, dalla normativa CEDU. L’Ordinamento penitenziario è norma di rango inferiore.

Per concludere, ad oggi, in assenza di una norma, di un regolamento, di una disciplina che contempli il caso di specie, non si può avere una soluzione che metta al riparo il personale medico e penitenziario ogni qual volta un detenuto respinga l’alimentazione al punto da rischiare la vita e, in alcuni casi, la perda. Il soggetto in questione, che ha già fatto scioperi della fame ed ottenuto la Grazia, lo sa benissimo.

Per fare un esempio concreto, la Polizia penitenziaria potrebbe adottare tutte le azioni necessarie affinché un detenuto non si impicchi ovvero uccida una persona. Anche utilizzando la forza fisica con atti di violenza.

Ma lo sciopero della fame può essere paragonato ad un atto autolesionistico?

Dietro la volontà di rifiutare il cibo c’è spesso la protesta per le condizioni di detenzione al limite, se non oltre, della legge.

Poi ci sono coloro che si dichiarano vittime di una ingiustizia, poi quelli che, come nel caso che ci riguarda, protestano per il tipo di regime carcerario inflitto.

L’anarchico Cospito protesta per essere ristretto al regime del c.d. “41bis”, cioè, secondo quanto disposto dall’Ordinamento penitenziario al suo art. 41, bis, per i criminali più pericolosi.

Per brevità riporto alcune parti salienti: “Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a  richiesta  del  Ministro  dell’interno,  il  Ministro  della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere…”. In aggiunta: “In casi eccezionali di rivolta o di altre  gravi  situazioni  di emergenza, il Ministro della  giustizia  ha  facoltà  di  sospendere…”.

Come si nota, i motivi e, quindi, la discrezionalità è amplissima, il governo può sospendere il regime carcerario ordinario limitando più attività al detenuto particolarmente pericoloso.

Il regime carcerario così previsto non riguarda solo i condannati per reati di mafia ma di tutti coloro che mettono a rischio l’ordine democratico, come per esempio, i reati di terrorismo.

Nel caso che ci riguarda, il detenuto Cospito, ha varie condanne e precedenti. Nel 2013 fu condannato a dieci anni e otto mesi di carcere per aver ferito a Genova, con colpi di pistola, il dirigente dell’Ansaldo Roberto Adinolfi. Nel 2006, mentre era detenuto in carcere con benefici, posizionò due ordigni esplosivi che deflagrarono, a distanza di mezz’ora l’uno dall’altro, davanti la caserma allievi Carabinieri di Fossano (CN). Da notare il particolare che nessuno  vuole cogliere, tra coloro che auspicano una sua liberazione o la fine del c.d. carcere duro, tranne i giudici nella sentenza di condanna. Far esplodere due ordigni a distanza di mezz’ora palesa una volontà di uccidere un numero enorme di persone: dopo la prima esplosione vi sono persone che accorrono, vuoi per aiutare eventuali feriti, vuoi per capire cosa sia accaduto.

La modifica al suo regime carcerario è stata voluta nel 2022 dal ministro Cartabia in quanto, nonostante fosse ristretto, continuava a ordinare attentati e forme di protesta violente ai suoi sodali.

Gli viene contestata la recidiva reiterata specifica per aver commesso più volte lo stesso reato. Questo particolare dimostra la tendenza criminosa del soggetto che costituisce un pericolo sociale.

Tutte le manifestazioni violente in suo nome dimostrano che egli non è un anarchico qualunque, bensì, un leader, un capo al quale molti soggetti legati agli ambienti anarco  insurrezionali si riconoscono.

Concludo accennando brevemente al problema ultimo della vicenda.

Cospito fu condannato in primo e secondo grado a 20 anni di reclusione per strage “comune” come previsto dall’art. 422 c.p.. Si tenga presente che non vi furono morti ma non è previsto nel nostro ordinamento la tentata strage. Il motivo è chiaro, si tratta di reato istantaneo per la cui consumazione è sufficiente che l’agente abbia esposto a concreto pericolo l’incolumità di più persone, a prescindere dalla verificazione di uno o più eventi letali.

La Cassazione, dopo il ricorso della sua Procura,  ha invece riqualificato il reato,  in base all’art 285 del c.p., per strage “politica” in base al quale la pena è quella dell’ergastolo.

Solo per i reati più gravi, come nel caso di specie, potrebbe applicarsi il c.d. ergastolo ostativo, cioè, una detenzione senza godimento di benefici e sconti di pena.

Ora, alcuni sostengono che per le stragi di Capaci e di via d’Amelio non venne applicato l’art. 285 c.p., bensì quello meno grave, di cui all’art. 422. Cioè, non venne considerata l’aggravante politica ma solo la matrice prettamente criminale. Per i giudici non vi erano elementi per considerare le due stragi siciliane come atti sovversivi dell’ordinamento democratico.

Il processo è stato rinviato alla Corte d’Assise d’Appello di Torino per la determinazione della pena. Qui è stata sollevata l’eventuale incostituzionalità dell’articolo 69 comma IV del c.p., che riguarda, nel caso di specie, del divieto della prevalenza della circostanza attenuante. I giudici hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale ed ora si attende la sua decisione. In caso di accoglimento sarà escluso l’ergastolo e, quindi, anche nella sua forma più grave.

Politica.

Come spesso succede, un caso importante, sul piano giuridico e relativo alla giustizia, può assumere valenza politica con risvolti particolari.

Il governo di centro destra ha tuonato che non si lascerà intimidire dalle proteste, attentati, manifestazioni sediziose che hanno provocato numerosi danni in varie città nelle ultime ore.

A sinistra, ci sono persone di alto profilo che insistono per togliere  il c.d. 41bis a Cospito.

Ci sono magistrati, avvocati, attori, preti, politici che hanno firmato un appello per abolire il c.d. carcere duro del 41 bis e l’ergastolo ostativo.

Massimo Cacciari, Gian Domenico Caiazza, don Luigi Ciotti, Gherardo Colombo, Elvio Fassone, Luigi Ferrajoli, Giovanni Maria Flick, Tommaso Montanari, Moni Ovadia, Livio Pepino, Nello Rossi, Ascanio Celestino e tanti altri.

Chissà quanti di essi sanno che in carcere tanti altri sono morti nel totale silenzio della società c.d. civile per aver deciso di sospendere l’alimentazione al punto da morire nel letto.

Eppure, sotto il clamore degli attentanti, fa eco solo il caso Cospito.

Conclusioni.

Non ci sono conclusioni brevi e non ci sono affermazioni definitive in questi casi.

Queste conclusioni sono aperte, in itinere, ma alcune riflessioni si possono fare.

  1. Mi appare apodittico che nelle stragi di Bologna, Capaci, via d’Amelio i giudici non abbiamo colto nel segno, cioè, ravvisare gli estremi dell’eversione non solo mafiosa ma politica. Difatti, proprio da quelle stragi è partita una risposta dello Stato che chiamiamo trattativa e non di contrasto alla mafia siciliana.
  2. Se hanno sbagliato in quelle sentenze non si capisce il motivo per cui si debba sbagliare nei confronti di un anarchico che voleva tentare una strage contro i carabinieri a Fossano.
  3. Il carcere duro, previsto dalla norma citata, è indispensabile per un Paese come il nostro che ha delle realtà inaudite e incomprensibili nei Paesi civili europei e anglosassoni. Abbiamo tre, forse quattro mafie “tradizionali”, così vengono definite dalla Cassazione e una serie di mafie “non tradizionali” come i clan “Spada” e “Casamonica”, per citarne solo due. Il confine tra il crimine e la politica non è chiaro. Alcuni sono arrivati a farsi eleggere nel Parlamento nazionale e in molti sono eletti in quelli comunali e regionali. Abbiamo un numero altissimo di comuni sciolti per mafia. Nel 2021 sono stati 14. Ma sul tavolo dei prefetti sono tanti i comuni che sono al limite dello scioglimento e solo per non creare problemi alla tenuta democratica del Paese, si cerca di limitare questi provvedimenti.
  4. Coloro che ritengono ingiusto l’ergastolo ostativo sono poi quelli che credono che la pena debba essere rieducativa. In buona sostanza, credono che la Costituzione preveda che il detenuto debba essere rieducato. E sono quasi sempre di sinistra. E sbagliano di grosso. L’art. 27 della Costituzione prevede che la pena debba “tendere alla rieducazione del condannato”. Tendere non vuol dire obbligare; tendere non vuol significare che si deve ma solo provare; non c’è alcun obbligo e, difatti, proprio i peggiori criminali non vogliono e non cercano alcun contatto rieducativo se non per ottenere sconti e premi. E proprio il caso Cospito che lo insegna. In regime carcerario aveva ordito la strage davanti la caserma dei carabinieri. Coloro che hanno scritto l’art. 27, in questione, hanno lasciato scritto proprio questo: la pena non deve educare ma solo tendere alla rieducazione senza alcun obbligo, né per lo Stato, né per il detenuto. Quindi, l’assunto secondo cui l’ergastolo è contrario a quanto disposto dall’art. 27 della Costituzione, perché se ti devi rieducare non puoi rimanere a vita detenuto ma devi uscire, devi tornare nella società e accettare le regole della comune convivenza, non ha alcun senso ed è fallato ab origine.

Ci sono tanti detenuti che non cercano e non vogliono alcuna relazione con la vita interna al carcere e si limitano alla buona condotta solo per sfruttare i benefici di legge. Per i reati più gravi e per le persone estremamente pericolose l’ergastolo non viola alcun precetto costituzionale perché non esiste in nessuna norma interna l’obbligo di educare o farsi educare.

Questo obbligo esisteva solo nei gulag sovietici e nelle carceri dei Khmer Rossi.

Grazie ai partiti democratici e liberali, nel Dopoguerra, noi abbiamo scampato questo pericolo.

Ma a sinistra si sente ancora urlare che il detenuto deve essere rieducato e, quindi, l’ergastolo è contrario alla Costituzione, come il Prof. Cacciari.

E questo non è più un problema giuridico ma culturale.

2 replies

  1. Che poi ci sarebbe anche un’altra cosina da dire e che gente come Musumeci e i suoi fan tipicamente sorvolano…

    L’ergastolo ostativo è evitabile, SE collabori… quello semplice NO, perché lo stato ti ha già definito totalmente inadatto alla convivenza civile, sennò che ergastolo sarebbe? Chiedete a Bossetti se è possibile uscire da quel regime prima di una ventina d’anni.

    Chiedete ai Graviano perché non parlano. Idem per MM.D.

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  2. In Italia hanno diritto ad essere compatiti tutti:
    mafiosi, anarchici, terroristi, assassini, guerrafondai, pedofili, femminicidi…
    C’è solo una categoria che non ha diritto a compatimento: i poveri
    I poveri bisogna ammazzarli.

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