Fratelli d’Italia tenta di controllare le uscite dei suoi, ma in Italia non c’è governo che abbia ottenuto il silenzio

(di Filippo Ceccarelli – repubblica.it) – Poveri illusi: bastasse un incontro di vertice a Palazzo Chigi per chiudere la bocca ai ministri narcisoni, smaniosi di paginate e telecamere. “Chiacchieroni miei, quanto parlate!” dice una nobildonna nel Macbeth – e non fa una bella fine. Qui in Italia, dove la commedia è più forte dell’amor di patria, non c’è governo che abbia mai ottenuto il silenzio dai suoi stessi maggiorenti. Per cui, superata la fase ciarliera delle fughe in avanti, dei ripensamenti e delle contraddizioni, si arriverà presto alle bozze dei decreti passate di nascosto (che già il povero Visentini, a metà anni 80 del secolo scorso, distribuiva ai ministri cifrate per riconoscerne i trafugatori), alle “manine”, alle “manone” e quindi all’individuazione dei capri espiatori, alcuni dei quali beccabili via chat, audio, labiali e account fasulli.

E hai voglia pure a “centralizzare” la comunicazione dei deputati e senatori, come da patetica circolare dei capigruppo FdI. Da che mondo è mondo nessuno è mai riuscito a legare la lingua dei peones, a maggior ragione dediti a dichiarare, mormorare, spifferare, esagerare o imbuffonirsi in qualche talk show, in tutto ciò esattamente riducendosi l’esperienza parlamentare nel tempo della post-politica. 

Quando cominciano a porsi questioni del genere non vuol dire soltanto che è finita la luna di miele, ma che la maggioranza, l’esecutivo e il suo premier hanno smarrito l’agenda, se mai era a loro disposizione.

Si delinea così all’orizzonte il super-classico dell’auto-conforto: l’errore di comunicazione, che sarebbe in realtà l’errore politico vero e proprio, ma non si può dire così perché sarebbe peggio. Di solito i potenti s’illudono che funzioni, dal che si sforzano di confezionare meglio il messaggio, o cambiarlo in corsa, deviare l’attenzione, rinforzare gli apparati. Una manna per spin doctor, coaching, team building, fuffa, miraggi e fumogeni. Renzi portò a Palazzo Chigi una maga danese, Salvini si appoggiava all’arsenale di Morisi, i 5S arrivarono ad assumere mentalisti, a parte gli esperti di Programmazione Neuro Linguistica, peraltro vissuti dagli stessi grillini come poliziotti della Casaleggio.

Gli Appunti social di Giorgia, col suo quaderno e i fiorellini di Ginevra, sono la prosecuzione di questo mesto, buffo e alla lunga inutile andazzo. Esaurita la novità, già circolano copiosi meme portatori di verità; ancora qualche settimana e il dileggio, previe imitazioni televisive, verrà assimilato a quello delle conferenze stampa di Conte ai tempi della pandemia. 

Dispiace davvero essere così risoluti, ai limiti del nichilismo, oltretutto Meloni c’entra come quasi tutti quelli che l’hanno preceduta. L’odierna classe politica non ha un problema di comunicazione, ma di credibilità; e questo perché da quasi trent’anni è schiava della comunicazione. Di essa solo si preoccupano i protagonisti, che non sanno più fare altro, leggi, programmi, soluzioni di buon senso, il tipico patto col diavolo per apprendisti stregoni. 

“Quella Bestia apocalittica che chiamiamo comunicazione”, come profetizzava il vecchio Ceronetti nel frattempo si è fatta ipercomunicazione: verticale, dispersiva, istantanea, semplificata, insidiosa come può esserlo una inedita ragione di Stato, e anche un po’ oscena. Il prefisso rafforzativo “iper” le ha recato in dote l’enfasi, la retorica, l’amplificazione emozionale, il manicheismo funzionale, il moralismo retrattile, il romanzo del leader o della leader e tante altre diavolerie, compresa la stupidità che in un mondo iper connesso ha moltiplicato le occasioni per esprimersi. A pensarci bene, in totale assenza di opposizione, da Berlusconi in poi non c’è stato potente che non si sia fatto male da solo. Quasi una risorsa democratica all’altezza e alla bassezza dei tempi