(Marco Palombi – Il Fatto Quotidiano) – Si sprecano le ironie sulla candidatura di Luigi Di Maio a inviato speciale europeo nel Golfo Persico. Si badi bene, ironie giustificate. Ammesso che Josep Borrell poi lo nomini davvero, è evidente che l’ex capo del M5S si staglia in una dimensione ormai balzacchiana: forse, a soli fini onomastici, si potrebbe citare l’avvocatuccio de Le Illusioni perdute, il follemente ambizioso Petit-Claud, che ben può ricordare il nostro Petit-Luis o, se preferite, Giggino. Sì, è tutto vero: a 12 mila euro netti al mese l’unica povertà che avrà abolito è la sua; certo la candidatura avanzata da (o per conto di) Mario Draghi getta una luce sinistra sulla scissione estiva dell’ex ministro degli Esteri e sul cinismo con cui s’è portato dietro decine di sprovveduti; ovviamente essere stato un grande elettore di Ursula von der Leyen può aver avuto un peso nella scelta del suo nome da parte del “panel di tecnici” incaricati dall’Ue di scegliere il migliore tra quattro candidati (Di Maio, per dire, è stato preferito al greco Avramopoulos, diplomatico di carriera, sindaco di Atene, ministro più volte e pure ex Commissario Ue). Insomma, le ironie sono giustificate come pure una quota non eccessiva di indignazione. Quel che questa vicenda ci mostra, però, non è solo la commediola umana del fu bibitaro sublimato dal migliore tra i migliori: ci mostra soprattutto quale sciarada sia – e di che infimo livello intellettuale – la costruzione ideologica detta “merito”, qui plasticamente rappresentata dal panel dei tecnici (saranno gli stessi “cacciatori di teste” che usa il Tesoro per scovare i manager delle partecipate i cui nomi stanno già sui giornali da mesi). “Merito” è una bella parola, piace a tutti, ma quando si tratta di stabilire la metrica che lo definisca iniziano i dolori: gli unici felici sono quelli che lo identificano con la lunghezza del curriculum (le misure, si sa, hanno una loro importanza), una beatitudine – ci ha insegnato un altro scrittore francese, Flaubert – cui è necessaria una discreta quota di idiozia. I sistemi sociali esprimono una loro idea di merito determinata da cultura condivisa e rapporti di forza: Luigi Di Maio ha pienamente meritato il posto che gli vogliono dare e al “panel dei tecnici” questo è perfettamente chiaro.