Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi per gli interessi di persone che si conoscono, ma non si uccidono, diceva Pablo Neruda. Da questa triste constatazione ne discende un’altra su cui è il caso di riflettere ora che l’aggressione russa all’Ucraina sembra viaggiare […]

(di Peter Gomez – Il Fatto-Quotidiano) – Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi per gli interessi di persone che si conoscono, ma non si uccidono, diceva Pablo Neruda. Da questa triste constatazione ne discende un’altra su cui è il caso di riflettere ora che l’aggressione russa all’Ucraina sembra viaggiare sempre più spedita verso un prevedibile, e da molti previsto, epilogo: le armi atomiche. Eccola: per chi alla guerra non partecipa, ma manda o accetta che gli altri muoiano in guerra, ci vuole più coraggio a fare la pace che la guerra.

Dimenticate allora per un attimo Vladimir Putin e i suoi sostenitori. Concentratevi invece sui nostri leader politici, non solo italiani, ma occidentali. Tutti loro sanno perfettamente che l’autocrate russo non può permettersi una totale sconfitta. Se davvero l’esercito russo venisse (tra molti mesi) ricacciato dietro i confini che ha illegalmente occupato, Putin avrebbe la propria sorte segnata. Perdere, per lui, significherebbe perdere il potere e, con un elevato tasso di probabilità, pure la libertà o la vita. Nei regimi come il suo, quando il capo viene sostituito accade spesso che qualcuno gli tagli la gola o che i vincitori, come accadde con il serbo Slobodan Milosevic, alla fine lo arrestino, lo processino e lo condannino. Per questo – come ripetuto anche ieri – fin dall’inizio del conflitto, il capo della Cia, William Burns, avvertiva che un Putin disperato avrebbe potuto decidere di utilizzare un’arma atomica tattica o a basso potenziale.

Alla disperazione di Putin oggi siamo molto vicini. I successi ucraini sono evidenti e se i 300 mila riservisti russi che scenderanno in campo nelle prossime settimane non provocheranno una svolta nel conflitto, le ex Repubbliche del Donbass appena annesse alla Russia verranno a poco a poco riconquistate da Kiev. Ma prima che ciò accada, e per evitare che accada, Putin alzerà il livello dello scontro.

Se i nostri leader politici avessero coraggio, ne vedremmo qualcuno disposto a battersi pubblicamente per interrompere questa escalation. Le condizioni per la prima volta ci sono. Dal punto di vista tradizionale l’esercito russo è risultato molto più debole del previsto. L’idea che Putin e le sue armate possano invadere altri Paesi occidentali si è dimostrata sbagliata. I nostri eserciti sono meglio equipaggiati e più forti. Annettendo le Repubbliche (i cui confini, nota bene, non corrispondono a quelli geografici, ma a ciò che viene effettivamente controllato dai russi), Mosca ha dimostrato debolezza e ci ha fatto sapere che per lei la guerra poterebbe chiudersi qui. E allora perché non chiuderla davvero facendo contemporaneamente entrare l’Ucraina nella Nato, in modo che venga protetta dagli eserciti dell’alleanza in caso di altre aggressioni?

Per farlo, certo, ci vuole coraggio. In molti direbbero che così si dà ragione a un prepotente; che non è possibile cedere ai ricatti; che Volodymyr Zelensky e i suoi non accetterebbero mai. Tutte bugie: la politica (compresa la geopolitica), come insegnava l’economista John Kenneth Galbraith, consiste nello scegliere tra il disastroso e lo sgradevole. Un Putin che in patria rivendica una (finta) vittoria, ma che di fatto viene bloccato in Crimea e nel piccolo Donbass dal nuovo equilibrio atomico (l’Ucraina nella Nato) sarebbe certamente sgradevole per i leader che in occidente avevano giurato la sua totale sconfitta. Ma eviterebbe il disastro. Per questo ai nostri politici e tanti esponenti del partito unico bellicista va chiesto di avere coraggio. Lavorate per la pace. La storia si ricorderà di voi.