L’Italia non è più abituata alle guerre per due ragioni principali: la prima è ovvia e la seconda molto meno. La ragione ovvia è che, dopo la Seconda guerra mondiale, l’Italia non è stata più bombardata. La seconda ragione, meno ovvia e che dovrebbe far riflettere la nostra classe dirigente […]

(di Alessandro Orsini – ilfattoquotidiano.it) – L’Italia non è più abituata alle guerre per due ragioni principali: la prima è ovvia e la seconda molto meno. La ragione ovvia è che, dopo la Seconda guerra mondiale, l’Italia non è stata più bombardata. La seconda ragione, meno ovvia e che dovrebbe far riflettere la nostra classe dirigente, è che, nonostante il mondo sia stato afflitto da tante guerre, l’Italia se n’è sempre disinteressata. La copertura della guerra e delle guerre civili in Siria, Yemen, Donbass, Iraq, Afghanistan, Somalia, Nigeria, per citarne soltanto alcune, è stata e continua a essere pressoché inesistente. L’Italia, quasi del tutto assorbita da problemi di politica interna, per la gran parte inutili polemiche, si è leggermente interessata alla guerra in Siria soltanto nel periodo in cui temeva di subire un attentato dell’Isis. Anche in quel caso, si è trattato di un interesse marginale, non relativo alla guerra siriana in sé, ma soltanto a un suo tragico derivato, lo Stato Islamico. La conseguenza di questa mancanza di informazione è stata una carenza di riflessione strategica, culturale, politica, antropologica e storica sul fenomeno della guerra, che si riflette nei commenti che leggiamo in queste ore sugli ultimi sviluppi in Ucraina dove l’esercito di Kiev è avanzato nella regione di Kharkiv. L’atteggiamento prevalente in Italia verso la guerra in Ucraina è identico all’atteggiamento dei tifosi allo stadio. Del tifo calcistico presenta due caratteristiche fondamentali. La prima è l’idea che una guerra duri novanta minuti. La possibilità che la Russia, subita questa sconfitta, possa tornare alla carica con violenza inusitata, è assente tra i tifosi. Riflettere sulle contromosse del nemico non ha senso. Che la Russia possa impiegare seriamente l’aviazione, cosa che finora non ha fatto, o ricorrere alla mobilitazione generale o magari alle armi nucleari, non è contemplato. Ha senso soltanto esultare. La seconda caratteristica è l’idea che il mondo sia diviso in due sole fazioni: i tifosi della Russia e quelli dell’Ucraina. Basta che l’Ucraina avanzi a Kharkiv e i problemi sono risolti. La Prima guerra mondiale e la Seconda guerra mondiale dovrebbero avere insegnato agli italiani due cose. La prima è che la pace in Europa non è possibile in presenza di una grande potenza revanscista. La seconda è che “vittoria” non significa automaticamente “pace”. Infine, manca un metodo. Una valutazione corretta ed emotivamente distaccata di ciò che sta accadendo in Ucraina richiederebbe di condurre prima un’analisi separata delle operazioni militari su ognuno dei fronti di guerra e poi una sintesi. Kharkiv è soltanto uno dei tre fronti. Che cosa accade sugli altri due? Chi scrive non ha mai previsto che la Russia non avrebbe subito nemmeno una sconfitta o che avrebbe vinto in pochi giorni. Al contrario, ha sempre temuto la sirianizzazione della guerra. Una guerra esistenziale è fatta di vittorie e di rovesci. Il tipico andamento altalenante delle guerre, soprattutto nelle fasi iniziali, sfugge anche a Zelensky, il quale, anziché aprire subito una trattativa, si è profuso in commenti iper-radicali contro la Russia sprecando un’occasione. Nessuno può rimproverarlo troppo: i falchi da cui è consigliato – Draghi, Biden, Stoltenberg, Truss – lo inducono a tanto contro gli interessi del suo popolo, dell’Italia e dell’Europa tutta. Viviamo in un tempo di falchi. La guerra apre gli occhi a chi la subisce e non a chi la guarda dal divano. Il nostro augurio è che tanti italiani continuino a vagare senza vista.