(Anna Zafesova – la Stampa) – «Tutti i residenti devono partire immediatamente per la Russia, per salvarsi la vita»: l’ordine di Vitaly Ganchev, il “comandante” di Kharkiv nominato dagli occupanti russi, dice della situazione più delle cartine che cambiano colore, delle foto dei militari che sventolano bandiere giallo-azzurre all’ingresso delle città, e delle bugie dei portavoce di Mosca. 

Gli invasori sono in fuga, vengono accerchiati e distrutti, in una controffensiva ucraina che era stata ampiamente annunciata, ma che nemmeno gli analisti più ottimisti avevano ipotizzato così fulminea e devastante. Fino a un paio di settimane fa il Cremlino insisteva ancora per tenere dei “referendum” di annessione dei territori occupati dai quali oggi stanno fuggendo in code interminabili i militari russi e i collaborazionisti locali. 

Fino a un paio di settimane fa affermare che l’Ucraina avrebbe vinto – riconquistando le regioni invase e ricacciando le truppe di Mosca oltre confine – suscitava, almeno nel dibattito mediatico italiano, un’incredulità palese. Fino a pochi giorni fa, perfino molti amici occidentali dell’Ucraina si preparavano a una lunga e faticosa guerra, che si sarebbe conclusa con un doloroso compromesso, e i suoi nemici invitavano a non prolungare le sue sofferenze aiutandola a resistere.

Era evidente che il destino dell’Ucraina – come della Russia, e dell’Europa – si sarebbe deciso sui campi di battaglia di Kherson, di Kharkiv, del Donbass. Quello che però forse perfino gli strateghi di Kiev non avevano previsto è la violenza, e la rapidità di un’avanzata apparentemente inarrestabile che sta entrando nei libri di storia militare mentre è ancora in corso: gli ucraini hanno riguadagnato in quattro giorni più terreno di quanto i russi avessero conquistato negli ultimi quattro mesi. 

Una controffensiva cresciuta a valanga, al punto che ora il comando di Kiev sta cercando di arginare i trionfalismi, mentre sui social si riversa un fiume di filmati e foto che, anche se fossero per metà falsi, testimoniano inequivocabilmente la catastrofe dei russi. E in questa guerra online, le immagini sono tutto: gli scheletri carbonizzati dei carri armati russi, i cadaveri dei soldati abbandonati nei fossati, contrapposti ai volti raggianti dei militari ucraini e le vecchiette dei villaggi liberati che gli offrono frittelle appena sfornate, costruiscono i fotogrammi di un film che sarà impossibile da far dimenticare.

La guerra non è ancora finita, ma la vittoria ucraina non è più un sogno, e il sapore amaro della sconfitta viene avvertito tangibilmente dai russi. «Il 10 settembre sarà il Giorno-in-cui-gli-occhi-hanno-iniziato-ad-aprirsi», scrive la celebre blogger dissidente Nika Belozerkovskaya, notando come per la prima volta in vent’ anni la società russa si ritrovi unita: «Dai patrioti con la Z ai liberali, dalla destra alla sinistra, dai moderati ai radicali, tutti sono d’accordo sullo stato reale delle cose». 

Cioè sul collasso del “secondo esercito del mondo”. Perfino i canali Telegram dei falchi dell’esercito e dei servizi, gli ultranazionalisti del giro duginiano e i reporter di guerra idoli della propaganda del Cremlino stanno dando del comandante supremo russo giudizi denigranti. Sui social, la faccia del presidente russo attira migliaia di icone con il pollice verso: i ruoli del forte e del debole si sono ribaltati, e il debole non piace a nessuno.

Mentre le truppe di Zelensky prendono a cannonate gli scenari di una lunga guerra di attrito e di un “conflitto congelato”, il presidente russo ieri ha fatto finta di nulla. Ha inaugurato una gigantesca ruota panoramica a Mosca, e il suo ufficio stampa promette «telefonate internazionali nei prossimi giorni».

Vladimir Putin è stato fin dagli esordi il presidente delle guerre, anche se finora aveva trionfato, dopo anni e a prezzo di immensa brutalità, soltanto su avversari privi di aviazione e artiglieria, come i ceceni, i georgiani e i siriani. Una guerra persa fa crollare il sistema putinista come un castello di carte, e ora sono i suoi stessi fedelissimi a rinfacciargli quello che per i suoi critici non era mai stato un segreto: la corruzione totale, le bugie dei cortigiani, la falsità della propaganda, l’arretratezza tecnologica e la fragilità di un’economia che va a gas, la povertà del popolo e l’inefficienza della nomenclatura. 

La follia del leader è diventata in un solo giorno evidente a tutti, e i fuochi d’artificio che ieri sera hanno illuminato la capitale russa per il compleanno della città sono apparsi in stridente contrasto con un esercito che sta scappando dall’Ucraina, nuova potenza militare in un’Europa nella quale la Russia di Putin non potrà più tornare. Al padrone del Cremlino non restano molte scelte: o gioca il tutto per tutto schiacciando il bottone nucleare, o inizia una de-escalation per cercare di salvare quel che resta del suo regime.