Il presidente M5S: «No al presidenzialismo, serve un limite costituzionale ai mandati. A parità di salario sperimenteremo la settimana di 36 ore. Il Pd? Grande delusione»

(LUCA MONTICELLI – lastampa.it) – ROMA. La caduta del governo va attribuita alla volontà di Mario Draghi, Enrico Letta e Luigi Di Maio. C’è questa convinzione nelle parole del leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte, intervistato dal direttore de La Stampa, Massimo Giannini, per la trasmissione “30 minuti al Massimo” (versione integrale su lastampa.it). Draghi ha davvero telefonato a Beppe Grillo chiedendogli di sostituire Conte dal vertice del Movimento? «Io credo a Grillo», risponde l’ex premier, accreditando il racconto del sociologo Domenico De Masi, grande amico del comico genovese. «Draghi e Letta sono stati zitti mentre Di Maio metteva a repentaglio l’equilibrio della maggioranza», spiega.

Per Conte non esiste né l’agenda Draghi né un Draghi bis dopo il voto: «Basta con il decisionismo autoreferenziale». Dal canto suo, il capo del Movimento lancia una proposta sul lavoro di bertinottiana memoria: «36 ore settimanali a parità di salario».

Con i candidati che ha scelto nel listino ha voluto battere i pugni sul tavolo?

«Ho proposto una piccola squadra di quindici persone che potrebbero garantirci l’efficacia della nostra azione, come Cafiero De Raho, Roberto Scarpinato, Sergio Costa, Livio De Santoli».

Sono i suoi fedelissimi?

«Sono persone che possono contribuire a realizzare le nostre battaglie, anche questo fa parte del nuovo corso».

Rocco Casalino: perché l’ha lasciato a casa?

«Non l’ho lasciato a casa, lui l’ha dichiarato: ha pensato più volte di correre alle parlamentarie del Movimento, ma ha deciso di non farlo. Mi ha detto che era tentato, però ha comunque un incarico importante nella comunicazione».

Era d’accordo con Grillo sulla regola dei due mandati?

«Non nascondo che ho valutato con Grillo di introdurre delle eccezioni, ma abbiamo convenuto alla fine che si rischiava di dare un messaggio sbagliato, che dietro ogni deroga si nascondesse uno stravolgimento della regola».

Perché non Di Battista?

«Abbiamo parlato insieme di un suo coinvolgimento, però è emerso che su alcune linee di politica estera non c’era un pieno accordo. Il Movimento vuole dare un contributo critico e costruttivo all’interno dell’alleanza euro-atlantica, lui ha una linea più radicale».

Come sono i suoi rapporti con Grillo?

«Molto buoni, ci sentiamo costantemente. In passato c’è stato un momento vero di scontro e di visioni diverse. Poi c’è stata una ricomposizione, si è trovato un equilibrio e ora riusciamo a collaborare».

Con Virginia Raggi ci sono state delle frizioni?

«Personalmente nessuna frizione e nessuna ruggine. Lei ha dato un’interpretazione errata delle regole, ha fatto tre mandati perché aveva il mandato zero, quindi li ha esauriti. È la regola che vale per tutti. Poi ha parlato di trasparenza e partecipazione, che sono il nostro segno distintivo e che abbiamo rispettato anche stavolta».

Il centrodestra propone la flat tax, voi come pensate di intervenire per garantire un fisco più leggero?

«Con il cashback fiscale, uno strumento per orientare tutti i cittadini sull’utilizzo della moneta elettronica. Lo Stato può selezionare alcune spese, come quelle sanitarie e veterinarie, e provvedere al riaccredito immediato sul conto corrente, invece di aspettare di recuperare lo sconto con la detrazione in dichiarazione dei redditi».

L’altro cashback non aveva funzionato vero?

«Lei mi sta provocando, tutti i dati che abbiamo avuto dicono che aveva funzionato molto bene. Grazie al cashback siamo passati da 4 a 25 milioni di cittadini che hanno lo Spid, l’identità digitale».

Perché Draghi l’ha tolto allora?

«Ha fatto una concessione a Meloni che era all’opposizione, e a Salvini che era entrato in maggioranza. Adesso il centrodestra, anziché favorire la tracciabilità dei pagamenti, vuole tornare all’utilizzo del contante senza soglia».

Il cashback è una misura che costa tanto come il Superbonus, lo riproporrete?

«E’ un’altra misura che va graduata nel tempo, è chiaro che non può sempre reggere al 110%».

Avete esagerato?

«Assolutamente no, senza il 110% non saremmo oggi la locomotiva d’Europa nel settore delle costruzioni. C’è stato un pregiudizio ideologico del governo contro il Superbonus che non mi spiego».

Per le truffe che ci sono state.

«Il governo ha diffuso delle cifre falsate, alla fine si è scoperto che le truffe sul Superbonus erano solo di 130 milioni su 4 miliardi».

Il reddito di cittadinanza va corretto? La destra lo abolirà.

«Eliminare un sistema di protezione sociale come questo – con l’Istat che ha detto che abbiamo salvato un milione di persone dalla povertà – sarebbe veramente una follia. Corriamo il rischio di una rabbia sociale, di una ribellione che non riusciremo più a contenere. Ne va della coesione sociale, non scherziamo».

Sul lavoro avete una proposta nuova?

«La riduzione dell’orario di lavoro a parità salariale. E’ un tema forte, importante. Tutti gli studi in materia dimostrano che non è vero che più si lavora e più si è produttivi, oltre una certa soglia la produttività non migliora affatto, anzi. In Italia ci ritroviamo con una media di ore lavorate all’anno, che è la più alta in Europa: noi siamo a circa 1.723 ore l’anno, in Germania a 1.356 e hanno una produttività molto più elevata».

A parità di salario? Lo fece già Bertinotti e non portò bene, ricorda?

«Certo che lo ricordo Bertinotti. L’idea è sperimentare questa norma nei settori a più alta componente tecnologica».

Non credo che le imprese saranno contente della vostra proposta.

«Ne discuteremo, non va fatto contro le imprese, ma su base volontaria».

Bertinotti auspicava le 35 ore, voi?

«Possiamo partire da quattro ore di riduzione sulle 40 settimanali».

Dopo la rottura con Enrico Letta lei ha detto “la sinistra siamo noi”.

«Non ho parlato di sinistra ma di forza progressista, il che è un dato di fatto: è il Movimento 5 stelle ad esserlo, piaccia o meno. Lo siamo per le riforme che abbiamo fatto: il taglio dei privilegi dei politici, l’anticorruzione, il reddito di cittadinanza».

Però lei ha approvato anche i decreti sicurezza di Salvini.

«Li ho resi più sostenibili, e poi con il Conte 2 alla prima occasione li abbiamo rivisti».

Dal 2018 alle europee avete perso 6 milioni di voti, vi siete più che dimezzati. Oggi a chi parla il Movimento 5 stelle?

«A quell’Italia che non conta, invisibile, ai lavoratori sottopagati e precari, ai giovani, le donne, i piccoli imprenditori, i commercianti».

Più ci si avvicina al 25 settembre e più il tema sarà quello del voto utile per non far vincere la destra.

«Il voto utile siamo noi, la forza politica che rispetta gli impegni presi. Non si può pensare di dare una cambiale in bianco ai professionisti della politica. Nel Pd hanno le idee assolutamente confuse. Letta aveva stretto un accordo con Calenda e l’obiettivo era rivedere il reddito di cittadinanza e il Superbonus. Oggi invece il Pd dice di essere una forza sociale ed ecologica, tutto il contrario di tutto».

È finita per sempre con il Pd di Letta?

«Non c’è rancore, ma Letta deve spiegare al suo elettorato le alleanze che ha fatto, addirittura con Fratoianni e Bonelli, dopodiché si vedrà. È stato deludente e incomprensibile il comportamento del Pd, certamente i cittadini non credono alla favoletta di Letta “non andiamo con il Movimento perché ha fatto cadere il governo Draghi”. Come mai il Partito democratico parla di noi quando sapeva che non potevamo accettare una norma sull’inceneritore a Roma? Di Maio, il ministro degli Esteri, durante il conflitto in Ucraina, ha creato uno smottamento nell’equilibrio precario della maggioranza e ha formato una nuova formazione, accusando il Movimento 5 stelle di essere una minaccia per la sicurezza nazionale. Né il presidente del Consiglio, che è venuto in Parlamento e non ha voluto dialogare, né il Pd hanno detto nulla».

È stata una congiura verso di lei?

«La chiami lei congiura, il complottismo non mi appartiene, però non è tutto normale».

Pensa che la famosa telefonata Draghi-Grillo del «fai fuori Conte» sia vera?

«Io a Grillo credo».

Con Letta e Di Maio vi siete più sentiti?

«No».

Il risultato però è regalare il Paese alla destra.

«Questo atteggiamento non lo condivido e lo respingo. Non è che si può andare a votare solo quando la destra è bassa nei sondaggi. La destra si batte con le idee».

Questa destra è un pericolo per la democrazia?

«No, perché non mi va di dare patenti di legittimità, ma è inaffidabile e lo abbiamo visto nel corso della pandemia, quando prima volevano aprire e poi chiudere. Hanno criticato persino il Pnrr, dicevano che era una truffa, oggi vogliono amministrare quei soldi».

Meloni dovrebbe spegnere la fiamma dal simbolo?

«È un retaggio del movimento sociale, io mi auguro che ci sia un governo che riconosca la festa della Liberazione e il fondamento costituzionale che è antifascista. Non basta prendere le distanze dal fascismo, il problema è sposare un genuino spirito democratico».

E Meloni lo fa?

«Ci sono due Meloni: quella che fa la moderata e poi quella che va da Vox. Io la ricordo gridare scomposta contro lo stato di emergenza per il Covid quando si opponeva a tutto».

Come giudica la proposta sul presidenzialismo?

«È un’anticipazione di una spartizione irragionevole e folle. Meloni al governo, Salvini vice premier e ministro dell’Interno, e a Berlusconi, per accontentarlo, prospettano la presidenza della Repubblica. Le istituzioni non si piegano alle esigenze spartitorie delle forze politiche anche se di maggioranza. Una riforma del genere non può essere condotta a colpi di maggioranza».

Servirebbe un’assemblea costituente?

«Mi sembra che non ci siano le condizioni».

Calenda e Renzi che ruolo giocano con il Terzo polo?

«È un polo che non ha una consistenza politica significativa. Calenda si sta autodistruggendo, avrà il grande merito di consentire a Renzi di restare in Parlamento, complimenti. Lui che ha criticato Renzi in tutti i modi per il rinascimento saudita e diceva che la sua politica gli faceva orrore».

E Renzi che meriti ha?

«Di curare bene i suoi interessi».

Con che percentuale si considera soddisfatto il 26 di settembre?

«Molto alta, sicuramente a due cifre, siamo molto ambiziosi».

Se alle elezioni non vince nessuno ci sarà un Draghi bis?

«Non ci sono prospettive su questo perché il diretto interessato non è disponibile e l’ha dimostrato anche in questa fase di crisi: ha preso la palla al balzo e ha voluto imprimere un segno di irrevocabilità alle sue dimissioni. Chi non ha grandi programmi da sventolare continua a parlare, e anche il Pd ha avuto questa debolezza, di agenda Draghi e di metodo Draghi. L’agenda non l’abbiamo vista perché non è stata scritta. Sul metodo facciamo attenzione, uno dei problemi è stata proprio la scarsa dialettica politica. Se il metodo Draghi è quello del decisionismo autoreferenziale, che si può giustificare solo in un contesto di emergenza, io ribadisco: attenzione che siamo in una democrazia parlamentare».