Stati Uniti, Russia e Cina ripropongono a Taiwan e in Ucraina la tradizionale contrapposizione Est-Ovest. Ma l’esplosione demografica dell’ex Terzo Mondo rischia di aprire nuovi fronti lungo la faglia Nord-Sud
(LUCIO CARACCIOLO – lastampa.it) – Guerra mondiale non si nasce, si diventa. È stato così per le prime due, canonizzate tali quando infuriavano da tempo. Dopo il 24 febbraio, ci chiediamo se non stiamo vivendo la terza.
E’ mondiale la guerra che le potenze mondiali battezzano tale. Questo marchio, come ogni altro, è convenzione. Non giochiamo con i modelli che antepongono l’interpretazione al fatto e riducono la storia a «matematica» sacrificando al dio algoritmo. Americani, cinesi e russi divergono su tutto, salvo sulla constatazione che non siamo nella terza guerra mondiale ma rischiamo di finirci. Sopporteremo l’accusa di papismo riconoscendo al romano pontefice il merito di aver avvicinato la realtà con la formula della «terza guerra mondiale a pezzi» lanciata il 28 agosto 2014. Centenario quasi al giorno preciso della prima, anche nota come Grande Guerra. Ma sarà terza guerra mondiale solo quella che Stati Uniti, Cina e Russia potrebbero trovarsi a direttamente combattere, sicché classificheranno tale. Mai vi siamo stati tanto vicini. Il primo passo per evitarla è stabilire dove ci troviamo oggi: in piena Guerra Grande. Sfida a tre per il primato mondiale.
Il 24 febbraio ha infatti aperto la fase acuta della competizione Stati Uniti-Cina-Russia. Intervento armato della terza potenza mondiale per impedire che una terra rivendicata propria, a poche centinaia di chilometri dalla capitale, diventi punta di lancia della prima. Se questo non è cambio di paradigma.
La Guerra Grande contrappone via Ucraina americani e russi. I primi poggiano su informale impero globale, strutturato sul principio per cui il dominio a stelle e strisce si organizza e difende letteralmente in ogni spazio del pianeta, a cominciare dagli oceani e dagli stretti che li connettono. I secondi – primi quanto ad arsenale nucleare, forse pari nella guerra cibernetica – sono nettamente più deboli in ogni altra dimensione, ma si ribellano armi in pugno al primato americano. E annunciano di volerlo sovvertire intestandosi contro l’Occidente la rappresentanza del Resto del Mondo.
Completa il triangolo la Cina, per l’America unico avversario strategico. In quanto obliquamente associata a Mosca, Pechino obbliga Washington a considerare l’incubo della guerra su due fronti. Ciascuno dei tre antagonisti è freneticamente impegnato a reclutare satelliti da schierare nella partita ogni giorno più dura, mentre altri ambiziosi attori, su tutti Giappone, India, Turchia e Polonia profittano della mischia per guadagnare influenza e prestigio. Infine, ogni soggetto geopolitico degno del nome sta riarmando alla grande.
La Cina ha tempi e modi dilatati. L’obiettivo di Xi Jinping è chiudere il cerchio avviato nel 1949 da Mao entro il 2049, quando la Repubblica Popolare potrà proclamare compiuta la risalita dal secolo delle umiliazioni subite dopo le guerre dell’oppio (1839-42 e 1856-60). E riunificata la patria, Taiwan inclusa. Pechino non apprezza l’avventura di Mosca perché non è pronta allo scontro con Washington. Ma non può permettersi di perdere la Russia perché finirebbe accerchiata da potenze nemiche, convocate dagli Usa per stroncare le velleità cinesi di prevalere nella gerarchia delle onde. Trono del Numero Uno.
A Washington l’allarme giallo prevale sul russo. Altro che 2049. Gli apparati temono che, ispirato alla lezione di Putin, Xi possa attaccare Taiwan nel prossimo anno e mezzo. Per il Pentagono, la recente dichiarazione di sovranità di Pechino sulle acque di Formosa anticipava un blocco aeronavale. Le «operazioni militari speciali» condotte dalle Forze armate cinesi in reazione alla missione di Nancy Pelosi a Taipei configurano in effetti il possibile sbarco a Taiwan. Al quale Washington reagirebbe con la forza.
Facili al paragone con le storie di casa, gli strateghi americani immaginano che i cinesi considerino Taiwan come i loro nonni sessant’anni fa vedevano Cuba: «porcospino» armato, un giorno anche con bombe atomiche, nel cortile domestico. Sicché stringono i bulloni dell’intesa con India, Australia e Giappone per il contenimento della Cina (Quad) connettendola alla Nato nell’Oceano Globale: Indo-Pacifico+Atlantico. Crasi simbolica della talassocrazia imperiale. Anche impegnata a proteggere le isole del Pacifico dalle aggiranti seduzioni di Pechino. Il punto di Archimede da cui più probabilmente Guerra Grande può elevarsi mondiale non appare tanto Kiev quanto Taipei. Gli amanti delle analogie noteranno che la fobia dei blocchi navali contrapposti lungo le massime rotte marittime del pianeta, ieri nippo-americana oggi sino-americana, si affermerebbe così cifra dei conflitti mondiali.
Questi mesi passeranno alla storia come la fine del più barocco teatro che la diplomazia abbia mai allestito al mondo: Cina Unica. Il capolavoro di Kissinger è morto. Insepolto. Le Cine sono tornate due, piaccia o meno, perché così sono trattate nelle equazioni belliche cinesi e americane. Opposti gli obiettivi finali: Cina Riunita, con Taiwan, per Pechino; quante più Cine possibili – meglio: una dozzina di Taiwan – per Washington.
Ma come appare questo scontro fra le tre grandi potenze del Nord del mondo al resto del pianeta? Ricordiamo di che dimensioni stiamo trattando. Su Terra si rifugiano oggi 8 miliardi di sapiens sapiens. Saremo (saranno) forse 11 miliardi a fine secolo. L’Occidente inteso come spazio Nato – Nordamerica più Europa atlantica – sfiora il miliardo di anime, mentre complessivamente inclina alla decrescita. Con la discutibile aggiunta di Giappone, Australia e Nuova Zelanda valica quella soglia psicologica. E’ il cosiddetto Golden Billion, che si autorappresenta evoluzione della specie. Ai sette miliardi di umani residui pare tribù dei nasi all’insù. Russia (146 milioni) e Cina (oltre 1 miliardo e 400 milioni) – gli antagonisti dell’Occidente nella grande partita del mondo boreale – superano insieme il miliardo e mezzo, tra declino russo e stallo cinese. Con la strana coppia sino-russa, il Resto è stragrande maggioranza. In aumento. A partire da subcontinente indiano (1,8 miliardi, di cui 1,4 in India, il resto fra Pakistan e Bangla Desh) e Africa (1,3 miliardi, con raddoppio previsto verso il 2050).
Risultato: il Resto del Mondo siamo noi. Demografia condiziona geopolitica. Ordinare tanta e così eterogenea densità umana da vertice unico – impero americano o qualsiasi – implica fede totale nella propria missione divina. Quella che a noi occidentali, smagati o meno, sembra mancare. Caos e Guerra Grande sono inscritte in questa irresolubile equazione.
Possiamo quindi immaginare l’entusiasmo con cui la maggioranza giovane e povera dell’umanità segue le battaglie del Donbas, da cui importa solo crisi. Soprattutto fame. O come abbia valutato la nostra scompigliata reazione alla tragedia del Covid – per i caoslandesi, specie africani, un’epidemia tra le altre. Semmai blanda. Né stupisce che costoro valutino il nostro recente ecologismo tutt’altro che ecumenico, giacché la “decarbonizzazione” li condannerebbe al sottosviluppo. Per cinesi e russi occasione unica per penetrare l’ex Terzo Mondo, che considera gli occidentali nella migliore ipotesi disinteressati alla sua sorte, nella peggiore neocolonialisti viziosi. La Guerra Grande è per noi Ucraina più Taiwan, partita del girone Est-Ovest. Per la maggioranza degli umani la vera posta corre lungo la faglia Nord-Sud. Insanabile frattura di specie? Due mondi, due umanità?
Intanto Erdogan ( secondo esercito NATO), intensifica i rapporti con l’amico Putin.
Nessuno fiata.
Allora si può?
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La decarbonizzazione ha invertito il senso di marcia, carbone sempre più carbone e del più caro ed inquinante, e averne visto la domanda crescente alla faccia dei verdi attori primari in questa nuova realtà
Per il resto niente di nuovo
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La nuda realtà
https://oilprice.com/Latest-Energy-News/World-News/Germanys-Power-Prices-Hit-Record-High-As-Utilities-Limit-Output.html
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Spiace dover rilevare al pur bravo Caracciolo – comunque (obtorto collo o meno che sia il suo esprimersi) dipendente GEDI/Elkann ossia degli Agnelli amerikanizzati – che qui non c’è alcun “cambio di paradigma”: connesso che sia ieri all’operazione speciale russa in Ucraina e oggi alla predisposizione in armi della Cina attorno a Taiwan. Si tratta ancora di più o meno legittime azioni internazionali di contenimento ed autotutela nei confronti dell’invasività dell’imperialismo yankee; che muove le sue pedine politico-militari nei territori più distanti dal proprio e a ridosso di Stati sovrani, e pure dichiaratamente, per destabilizzarli e appresso avvantaggiarsene militarmente, politicamente ed economicamente. Solo che, trattandosi di pura prepotenza neo-coloniale che ad oggi, pure nel suo ininterrotto attivismo, non è mai stata efficacemente sanzionata dal diritto internazionale, tale condotta viene derubricata sul piano geopolitico come un destino, appunto il “primato americano”. “Primato” a cui ogni azione alternativa, anche di pura e semplice autodifesa territoriale, va più o meno larvatamente intesa come sovversiva di un auto-referenziale ordine mondiale e quindi da controbattere nell’ottica prevaricatrice del “con noi o contro di noi”. E si badi: né russi né cinesi contrappongono tale protervia al resto del mondo; eppure non è che i russi sarebbero legittimati, proprio per le armi che noi italiani inviamo contro di loro, a scaricare qualche atomichetta sulle nostre basi NATO?! Lo “spazio vitale” di hitleriana memoria nella geopolitica del Pentagono, sua degna erede, si identifica oggi con l’intero orbe terracqueo e si esercita in un fitto controllo esteso tramite stati satelliti variamente colonizzati (“amici”, finché dura … ) quando non destabilizzati politicamente ed economicamente (dunque tutt’altro che amici). Tanta prepotenza è da sempre solo supportata da un nazionalismo interno di facciata, che da solo dovrebbe contenere all’infinito le contraddizioni di una società USA fortemente impregnata di classismo, razzismo e corruzione legalizzata (lobbysmo parlamentare). E tutto – mattanze e genocidi inclusi, in ogni angolo del mondo abitato – all’insegna del più bieco businness economico-finanziario ossia del Dio Denaro. Siamo proprio sicuri che questo sanguinario “‘impero del male” non abbia contate le sue “ore” – che siano mesi, anni …? E perché rendercene complici fino alla fine: l’esperienza nazi-fascista e l’ultima guerra mondiale non ci hanno insegnato proprio niente? Il vero orgoglio nazionale e patriottico degli italiani può solo tradursi in sudditanza politico-militare e in sottomissione economico-finanziaria?
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“Il punto di Archimede da cui più probabilmente Guerra Grande può elevarsi mondiale non appare tanto Kiev quanto Taipei.”
A parte la fissazione sulla terza guerra mondiale che vede solo lui in pratica come già cominciata, resta il mistero del perché Caracciolo non usa gli articoli. Sono volgari? Ama parlare come i capi indiani dei film?
E comunque non fatelo sapere a Caracciolo e alla, anzi a Stampa, ma questo articolo soprattutto nella parte finale potrebbe essere condiviso anche dal Dibba.
E anche che in guerra di Peloponneso vinse Sparta, cioè potenza terrestre.
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La realtà non collima con la fantasia hollywood ,con Swaznegger e Stallone-Rambo . Nella realtà gli States e tutto il cucuzzaro Nato sono stati costretti alla fuga dai guerrieri talebani dell’Afganistan, paese tra i più poveri al mondo. I gloriosi Marines reduci da sconfitte multiple sarebbero capaci di uscire vittoriosi da un conflitto con russi e cinesi ,una volta esclusa per ovvi motivi l’opzione nucleare ?
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Divide et impera!
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