(Carlantonio Solimene – iltempo.it) – «Un lavoro sono capace benissimo di trovarmelo da solo» tuonò Mario Draghi all’indomani della partita persa- del Quirinale. Ce l’aveva, in particolare, con Antonio Tajani, che nelle ore precedenti aveva prefigurato per lui una serie di prestigiosi incarichi all’estero. Ebbene, sarebbe il caso che il premier rilanci al più presto il suo monito. Perché, al grido di «salviamo Draghi» odi «dopo Draghi ci vuole Draghi», si sta muovendo una galassia di esponenti politici più o meno noti.

Peccato che, a differenza del buon Tajani, che qualche titolo per parlare di istituzioni europee ce l’aveva – è stato pur sempre il presidente dell’Europarlamento e oggi ricopre la carica di vicepresidente del Ppe – i personaggi protagonisti delle odierne manovre intorno a Draghi non sono propriamente garanzia di successo. O anche semplicemente di coerenza. Si prenda, a titolo esemplificativo, «L’Italia c’è». Trattasi dell’associazione presieduta da Piercamillo Falasca e cofondata e finanziata da Gianfranco Librandi che, nelle intenzioni dei promotori, vorrebbe «essere il partito di Draghi», perché «il nostro manifesto è simile alla sua agenda».

In realtà si diceva che dietro il progetto ci fosse addirittura il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che però si è affrettato a smentire un suo ruolo nell’operazione. Quindi, al momento, tocca restare a Falasca e Librandi. Il primo, già nella direzione nazionale di Più Europa, è stato nominato nel febbraio 2021 consigliere della ministra per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna. Anche lei, come Sala, al momento fa filtrare di non avere nulla a che fare col progetto. Il secondo, Librandi, è un imprenditore che politicamente nasce nel 2004, quando viene eletto consigliere comunale di Saronno con Forza Italia. Poi si fonda un suo partitino, Unione Italiana, candidandosi in prima persona alle Comunali di Milano nel 2021 in sostegno di Letizia Moratti raccogliendo 122 voti. Poi ancora arriva la folgorazione montiana che lo porta in Parlamento nel 2013 con Scelta civica, salvo abbandonarla e approdare, nel 2017, al Pd. Tornato alla Camera nel 2018 grazie ai Dem, sbatte la porta e nel 2019 segue Renzi in Italia viva, alla quale è ancora iscritto.

Per la cronaca, è salito alla ribalta il suo finanziamento da 800mila euro alla fondazione Open, che ha attirato le attenzioni della giustizia, senza portare però a conseguenze legali. Per chi fosse curioso di approfondire la biografia di Librandi, c’è persino un film dedicato alla sua storia, «Da una corsa in bicicletta», uscito sulle piattaforme streaming nel 2021. Del progetto si vocifera faccia parte un altro deputato renziano, Gennaro Migliore. Che, in quanto a peregrinare politico, non ha nulla da invidiare a Librandi. Nato rifondarolo, convertitosi al vendolismo, lascia la compagnia di Nichi in polemica con chi contestava il bonus di 80 euro di Renzi. Approda al Pd e, naturalmente, segue Matteo anche in Italia viva. Consegna ai posteri la foto della vacanza 2020 in barca con Boschi e altri profeti del renzismo. Una bella svolta per chi, da rifondarolo, difendeva l’ormai mitologico manifesto con tanto di yacht con la scritta «Anche i ricchi piangano».

Poi ci sono i partiti che in Parlamento già ci sono e hanno fatto del «Draghi dopo Draghi» il loro mantra. Anche loro infarciti di personaggi con un pedigree lungo e variegato. A partire da Azione! di Carlo Calenda, inquietissimo leader nato montezemoliano (all’epoca delle manovre pro-Monti dell’intellighenzia confindustriale), passato per il governo di Matteo Renzi, eletto col Pd all’Europarlamento e poi fondatore in proprio di un partito che, in vista dei ballottaggi per le Amministrative, si è schierato un po’ di qui e un po’ di là. E ancora Più Europa del segretario Benedetto Della Vedova, radicale da sempre ma nel frattempo transitato nel Pdl per poi aderire alla scissione finiana e infide approdare allo scioglimento di Futuro e Libertà – a Scelta civica. O Coraggio Italia del duo Brugnaro-Toti, il primo sindaco di Venezia, il secondo governatore ligure cooptato alla politica da Berlusconi salvo poi coltivare una certa vicinanza con Matteo Salvini, fino a convertirsi al moderatismo proprio in contrapposizione a certe sbandate antieuropeiste del leader.