Fonti di intelligence si chiedono come stia davvero procedendo il conflitto, al di là dei post di Zelensky. Il nodo missili e tank. Per quanto riguarda l’intelligence e la guerra in Ucraina, ai nostri leader e rappresentanti istituzionali impegnati in viaggi della speranza (finché c’è guerra c’è speranza) non sembra essere stato di molto aiuto l’articolo del New York Times […]

(DI FABIO MINI – Il Fatto Quotidiano) – Per quanto riguarda l’intelligence e la guerra in Ucraina, ai nostri leader e rappresentanti istituzionali impegnati in viaggi della speranza (finché c’è guerra c’è speranza) non sembra essere stato di molto aiuto l’articolo del New York Times – noto disinformatore putiniano – pubblicato giusto prima delle loro partenze (8 giugno). Citando fonti delle principali agenzie informative americane, il NYT metteva in evidenza già nel titolo che “gli Stati Uniti non hanno una chiara visione della strategia di guerra ucraina”. Poteva suonare come un garbato “cosa venite a fare?” o un avvertimento su più realistiche aspettative e infatti, secondo gli esperti interpellati, “il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha fornito sui social media aggiornamenti quasi quotidiani sull’invasione russa; video virali hanno mostrato l’efficacia delle armi occidentali nelle mani delle forze ucraine; e il Pentagono ha tenuto regolarmente briefing sugli sviluppi della guerra. Nonostante il flusso di tutte queste notizie verso il pubblico, le agenzie di intelligence americane hanno meno informazioni di quanto vorrebbero sulle operazioni ucraine e possiedono un quadro molto migliore sulle forze armate russe, sulle loro pianificazioni, i loro successi e fallimenti”.

È ovvio che i governi nascondano informazioni al pubblico per motivi di sicurezza: “L’Ucraina vuole presentare un’immagine di forza ai propri cittadini e ai partner più stretti e non vuole condividere informazioni che possano suggerire un indebolimento della propria risolutezza, o dare l’impressione di non poter vincere”. Ed è comprensibile che le autorità ucraine “non vogliano dare informazioni che possano indurre gli Stati Uniti e i loro partner occidentali a interrompere il flusso di armi”. Il problema, secondo il NYT, è che senza tali informazioni gli stessi partner non sanno bene che aiuti dare all’Ucraina e soprattutto non ne conoscono i risultati e le prospettive. Di fatto, non è preoccupante la negazione delle informazioni al popolo, anche se non è più “bue”, ma quella rivolta ai policymaker (istituzionali e non, parlamentari, politici, influencer, ecc.) che devono sostenere e autorizzare i decision maker e che si vedono costretti ad affidarsi soltanto a ciò che dice e non dice Zelensky sui social, nelle videoconferenze, con i video virali, i briefing preconfezionati e le dichiarazioni ideologiche destinate al pubblico interno e internazionale. E infatti “queste lacune informative all’interno del governo americano potrebbero rendere più difficile per l’amministrazione Biden decidere come indirizzare gli aiuti militari mentre invia miliardi di dollari in armi all’Ucraina”. L’amministrazione Biden sta dotando l’Ucraina di nuove capacità belliche, come i sistemi di lanciarazzi multipli, “senza avere un quadro completo della strategia e della situazione militare dell’Ucraina”“Se la comunità dell’intelligence non riuscisse a presentare al pubblico o al Congresso un quadro più completo sulle prospettive militari dell’Ucraina – ha detto Beth Sanner, ex funzionaria di alto livello dell’intelligence – potrebbe esserci un costo da pagare. Se la Russia avanza, l’incapacità di comprendere lo stato delle forze armate ucraine potrebbe esporre l’intelligence all’accusa di non aver fornito ai policymaker un quadro completo”“Ci è stato detto tutto sugli obiettivi russi e le loro prospettive di raggiungerli, ma non si è parlato della capacità ucraina di sconfiggerli. A mio avviso, non parlandone pubblicamente, ci stiamo preparando a un altro fallimento dell’intelligence”.

Dopo il football, addossare le colpe all’intelligence è lo sport preferito degli americani e non solo, ma in questo caso sembra che quella statunitense se le vada a cercare. “La segretezza dell’Ucraina ha costretto i funzionari militari e dell’intelligence statunitensi a cercare di apprendere ciò che possono da altri Paesi che operano in Ucraina, dalle sessioni di addestramento con gli ucraini e dai commenti pubblici di Zelensky”. Si può solo sperare che ci sia del sarcasmo in questo. L’intelligence americana è costretta a prendere informazioni da altri paesi presenti in Ucraina? Vale a dire Polonia, Gran Bretagna e altri che non hanno gli stessi interessi statunitensi? O dai russi stessi? O dai paesi della Nato che vivono esclusivamente d’intelligence americana? E deve basarsi sui video di Zelensky?

In realtà, l’intelligence sa molto più di ciò che dice di sapere e di ciò che dice Zelensky. Sa valutare la differenza fra propaganda e informazione e di certo ha riferito ciò che sa alle autorità da cui dipende. Se queste ascoltano o no è un altro problema. Per quanto riguarda il “pubblico” e i policymaker la situazione è diversa: in effetti sono esposti alle narrazioni piuttosto che ai fatti e sono vulnerabili perché non sufficientemente attrezzati per conoscere, oltre alle potenzialità, anche i limiti della propaganda e i pericoli dei suoi eccessi. In ogni caso, il “rimedio” di salvaguardare la sicurezza pubblica negando l’evidenza e le informazioni quasi sempre si rivela peggiore del male. A questo pensa chiaramente il NYT che anticipa il blame game (il reciproco biasimo) o lo scaricabarile, che normalmente scatta quando le cose vanno male, dando voce a chi nell’ambito dell’intelligence percepisce il disagio o addirittura il disastro. “Abbiamo ricevuto dal governo ucraino pochi briefing classificati o dettagli sui piani operativi, e i funzionari ucraini hanno riconosciuto di non aver detto tutto agli americani”“Quanto sappiamo davvero di come sta andando l’Ucraina?”, ha detto la Sanner, “Potete trovare una persona che vi dica con sicurezza quante truppe ed equipaggiamenti ha perso l’Ucraina?”“Gli Stati Uniti forniscono regolarmente all’Ucraina aggiornamenti di intelligence quasi in tempo reale sulla posizione delle forze russe”, eppure, “anche nelle conversazioni ad alto livello con il gen. Mark A. Milley, capo degli Stati Maggiori congiunti, o con Lloyd J. Austin III, segretario per la Difesa, i funzionari ucraini condividono solo gli obiettivi strategici, non i piani operativi dettagliati”. Vale a dire le chiacchiere, le speranze e le pretese. Ma anche qui non si può chiedere trasparenza e razionalità a un Paese che si trova invaso e in guerra per una logica di puro azzardo. È probabile che l’Ucraina non abbia nemmeno mai avuto un piano di difesa dall’invasione e si sia concentrata sulla ripresa della Crimea e del Donbass contando sui nostri piani (Usa e Nato) per trarne vantaggio. L’Ucraina non fornisce informazioni sulle proprie perdite e sul reale sviluppo delle operazioni, ma la Defense Intelligence Agency (Dia) le possiede già e a modo suo lo dice. “Ad esempio, [essa] stima che il numero di soldati ucraini uccisi in azione sia simile a quello della Russia (35-40 mila invece di 11mila?), ma l’Agenzia ha un livello di fiducia molto più basso nella stima delle perdite ucraine”. In pratica, se l’Ucraina non si fida degli americani, la Dia non si fida dell’Ucraina e non ritiene attendibili le sue stime sulle proprie perdite che potrebbero essere pericolosamente molto maggiori.

L’ammontare delle perdite ucraine non è rilevante solo dal punto di vista umano, militare e materiale. Esso riguarda le prospettive dell’Ucraina di sostenere l’attuale tasso di perdite e di raggiungere lo scopo dichiarato di riprendere con le armi i territori occupati dalla Russia; riguarda le prospettive di Stati Uniti e alleati di essere coinvolti in un conflitto che molti auspicano sia di lunga durata e che quindi vada “aiutato”, che altri vogliono terminare al più presto con un’azione di forza diretta contro la Russia e che altri ancora, i russi, sono disposti ad allargare a tutta l’Europa e oltre ricorrendo anche alle armi nucleari. Dal NYT vengono i primi segnali distonici tra gli Usa e l’Ucraina, ma anche tra il Pentagono e il Dipartimento di Stato che negli ultimi vent’anni ha profuso miliardi e sforzi nella formazione di vari governi ostili alla Russia anche chiudendo occhi, naso e orecchi di fronte ad apparentamenti imbarazzanti, e sottovalutando le reazioni russe. Ora Biden afferma che è l’Ucraina a dover decidere il proprio destino ed eventualmente negoziare. Resta da vedere cosa fare degli accordi scritti dai nazionalisti ucraini e sottoscritti dagli Usa che prevedono la riconquista con le armi della Crimea e del Donbass. D’altra parte, iniziare a scaricare responsabilità e colpe su Zelensky è il più facile dei giochi. Si è talmente speso nella propaganda che può essere anche ritenuto l’unico responsabile dei suoi guai e di quelli in cui questa guerra ha cacciato il resto del mondo. Tuttavia non è facile prendere le distanze dall’Ucraina facendo credere che Zelensky abbia ideato, avviato, diretto ed eseguito da solo la più grande operazione d’influenza strategica mai intrapresa per trascinare l’Occidente in un conflitto armato regionale e persino globale. Le campagne interventiste che hanno portato alle guerre mondiali e a quelle successive impallidiscono di fronte all’efficacia dell’“operazione Ucraina” avviata dagli Usa e sostenuta dalla Nato e dall’Unione europea. Un’operazione rivolta al “nemico” tentando di “vaccinare” i propri cittadini e i propri policymaker dal virus della disinformazione russa iniettando i virus di altrettanta disinformazione e imponendo l’isolamento con il lockdown cerebrale. Un’operazione da tempo pianificata, ma incurante del fatto che i “vaccinandi” godono di istituzioni democratiche e sono tecnologicamente e culturalmente evoluti nonché, loro malgrado, smaliziati in materia di propaganda bellicista. In questo senso, è diritto-dovere fondamentale di tutti i policymaker pretendere informazioni corrette e non spot propagandistici. Ed è diritto-dovere di tutti i cittadini giudicare i policy e decision-maker sulla base dei risultati delle loro azioni e non delle divagazioni oniriche. Dice un adagio americano: “Una visione senza un piano è un sogno, un piano senza visione è un incubo”. Forse il Dipartimento di Stato lo ha dimenticato o si è dimenticato di insegnarlo agli ucraini, che ora barcollano tra sogno e incubo. E noi con loro.