Pur non avendo trionfato, il segretario del Pd esce da questa tornata elettorale rafforzato. Questo grazie al basso profilo e soprattutto dalle difficoltà di Salvini. E nonostante la defaillance a Genova e Palermo, il progetto giallorosso continua.

(Stefano Iannaccone – tag43.it) – Una vittoria senza vincere, una soddisfazione senza giubilo. E così via con una sequenza di ossimori, mentre l’incognita del rapporto con il Movimento 5 stelle inizia a pesare parecchio. Enrico Letta manda in archivio il primo turno delle Amministrative 2022 all’insegna della «strategia dell’immersione», come l’ha definita con Tag43 un esponente del Pd: un modo per evitare di fare troppo rumore ma che consente lo stesso di portare a casa risultati soddisfacenti, o quantomeno accettabili. La riprova è l’esito del referendum: il segretario dem non si era esposto troppo, concedendo margini di manovra ai dirigenti del partito. Non è un mistero che l’area di Matteo Orfini più altri pezzi ex renziani fossero schierati per il “sì”. Il leader del Pd ha lasciato fare, tenendo i toni bassi e scegliendo come posizione ufficiale quella di un “no” molto silenzioso. La scarsa partecipazione ha premiato la linea che chiede una riforma in Parlamento e non a colpi di abrogazioni via referendum.

La scricchiolante alleanza giallorossa che continua a convincere Letta

Ma è sul voto alle Comunali che Letta ha giocato l’altra partita, forse anche più importante, facendo passare per un successo quella che è in realtà una serie di sconfitte. Da Genova a Palermo. E sono due città citate non a caso, visto che rappresentano la punta di diamante dell’alleanza giallorossa. Il sodalizio con Giuseppe Conte qui non sembra essere stato benedetto dal voto. Già in Liguria, alle ultime Regionali, l’esperimento del ‘campo largo’ si è infranto contro la perentoria rielezione di Giovanni Toti. Il bis è arrivato nel capoluogo ligure, dove Marco Bucci passa all’incasso – come peraltro anticipato dai sondaggi – beneficiando del sostegno dei centristi-progressisti, come Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda. Agli atti resta il secondo ko dell’esperienza più importante, a livello locale, della coalizione giallorossa. I 5 Stelle, presenti con il contagocce a questo voto, hanno così confermato una persistente fragilità specie quando si parla di radicamento sul territorio. Non è bastato qualche bagno di folla di Conte in campagna elettorale per risollevare le sorti del Movimento. Tanto che a Largo del Nazareno, nella sede del Pd, qualcuno inizia a mugugnare, affinché Letta possa affrancarsi dall’abbraccio contiano.

Perché il Pd di Letta pur non trionfando alle Comunali può dirsi soddisfatto

Però il segretario va avanti per la sua strada: dove corrono insieme, è il ragionamento, M5s e Pd possono arrivare al ballottaggio. E questo, per ora, basta. Il risultato di Damiano Tommasi a Verona è una scarica di adrenalina, che rinvigorisce – su questo fronte – il progetto lettiano, con il Pd a fare da stella polare.  Lo stesso a Catanzaro tornata contendibile con Nicola Fiorita dietro il candidato di centrodestra Valerio Donato, docente universitario ex Pd, sostenuto anche da Lega e Forza Italia ma senza simboli di partito. Ai successi del Pd va aggiunta Parma dove il partito ha saputo costruire una coalizione con ambizioni di vittoria, indipendentemente dalla presenza dei pentastellati. Per informazione citofonare a Michele Guerra, delfino di Federico Pizzarotti. Così, dopo il voto combinato Amministrative-referendum nessuno pensa di mettere in dubbio la leadership di Letta: le richieste di congresso, negli ultimi mesi, sono sempre più diventate sfumate. Fino a sparire dai radar. Una polizza sul futuro di Letta per quanto riguarda la composizione delle liste. Sarà l’ex presidente del Consiglio a gestire il dossier alle prossime Politiche.

La débâcle di Salvini schiacciato a Verona

Ma a rendere ulteriormente solida la posizione di Letta è soprattutto la debolezza dell’altro campo. Matteo Salvini esce malissimo dal 12 giugno con l’incubo di cedere l’amministrazione di Verona, storico feudo leghista e più in generale del centrodestra. Un fatto politicamente paragonabile a quando la sinistra perse Bologna. A questo va sommato il ruzzolone della partecipazione flop al referendum, su cui era impresso a fuoco il marchio leghista. L’uno-due alla leadership del Carroccio finisce quasi per oscurare i buoni risultati conseguiti altrove dalla coalizione di centrodestra. Anche perché la stessa Giorgia Meloni esce ammaccata dalla competizione veronese: Federico Sboarina è un candidato di Fratelli d’Italia. Quindi l’uomo che doveva garantire lo sfondamento nel Nord-Est, per un partito più radicato al Centro-sud, è diventato il più tradizionale dei Cavalli di Troia.

Salvini a Mosca, il viaggio era stato pagato dall’ambasciata russa a Roma: «Non vediamo nulla di illegale in tutte queste azioni».

La possibile debolezza dei centristi alle prossime Politiche

Infine Letta, muovendosi a pelo d’acqua, assiste con un certo interesse alla difficoltà dell’area moderata. Certo, Calenda rivendica la buona performance laddove i moderati hanno cercato l’esperienza del terzo polo, come a L’Aquila, Catanzaro e a Palermo. Si tratta, tuttavia, di un boomerang: lo spazio moderato esiste e raggiunge la doppia cifra in termini di consensi. Ma con la legge elettorale in vigore, alle Politiche, il polo centrista a trazione calendiana rischia di finire stritolato dal voto utile, restando ai margini. E obbligando Calenda a una riflessione sul collocamento politico. Visto che, invece, Renzi sembra aver preso i lidi che lo portano a essere una stampella della destra, là dove serve.