(Anna Lombroso per il Simplicissimus) – Uno degli effetti acclarati della messa all’indice di libri da proibire, sottoporre a censura, purga e falò in piazza è quello di suscitare curiosità e di sollecitare istinti trasgressivi come accade sempre in clima di proibizionismo.

Così chi come me è nato in famiglie antiautoritarie e laiche non ha goduto delle voluttà di leggere sotto le lenzuola alla luce della pila i congiungimenti bucolici di lady Chatterley, la ludiche “sudicerie” dei Tropici e la pedagogia per giovinette secondo Pauline Rèage.

Adesso i testi oggetto di anatema li compri su Amazon, le liste di proscrizione piuttosto arrangiate le compilano i giornalisti aiutati dei pizzini del Copasir e a noi eretici resta la frustrazione che vivono gli esclusi dalla lista degli ospiti eccellenti degli eventi immortalati da Dagospia. Ci scommetto che tanti di voi si sono presentati all’edicola disertata da anni di dismissione della preghiera laica del mattino per leggere il loro nome trasferito dagli appelli degli intellettuali ormai molesti alle banche dati di novax, terrapiattisti, complottisti e ora filoputiniani, provando la malinconica sensazione di non contare niente nemmeno come comprati e venduti dallo zar preda di deliri oncologici e smania di onnipotenza.

Ormai il respiro della storia è ridotto al rantolo della tv del dolore, alle prestazioni del burattino di kiev sul palcoscenico globale che l’ha fatto regredire dal Nobel per la pace al Telegatto, alla demolizione di logica, buonsenso sacrificati all’aumento del Pil, all’arricchimento per accumulazione dei già ricchi, all’affidare la soluzione dei problemi a chi li ha creati.

Siamo nelle mani di demoni che considerano la loro criminale perseveranza la qualità del decisore: sanno benissimo che a differenza di loro che campano beatamente con i benefits di Goldman Sachs, le prebende dei Think Tank, la carità di Soros e i meriti accademici maturati alla Columbia University, che nessuno di noi riceve paghette da Mosca, che le gite premio sul Mar Nero si sono estinte con Migliore, che solo Scaramella e Guzzanti potevano credere al discredito lanciato su Prodi in veste di uomo di fiducia del Kgb e che il Maligno in persona tenti periodicamente di avvelenare quel fior di oppositore di Navalny cui consiglieremmo di astenersi dal lunch di bordo.

Molto concretamente i nostri dubbi sono suscitati dalla convinzione che bersaglio della guerra di Washington e dei nuovi pacchetti di  sanzioni  adottati a partire dalla fine di febbraio nel solco della continuità con le misure già in vigore sin dall’annessione della Crimea nel marzo 2014, largamente illegittimi come succede per il ricorso, in via autonoma e fuori del sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite, a misure coercitive che violino la sovranità dello Stato colpito, fosse anche per la tutela della pace e di interessi generali della comunità internazionale, si ritorcano contro i Paesi europei e in primo luogo contro quelli consegnati in manette al racket degli strozzini legali.

Noi italiani commissariati dal vile affarista intento a vendersi al meglio al padrone d’oltreoceano, previa cancellazione di ogni traccia di democrazia e sovranità, siamo minacciati concretamente da restrizioni e costi già in atto da ben prima della guerra, da razionamenti e carestie, da blackout e aggiotaggi malavitosi, messi in campo per legittimare la continuità di stati di eccezione che aggirano regole e rappresentanza e per autorizzare l’indebitamento nei confronti dell’Europa, il cui incremento serve a foraggiare la corsa dissennata agli armamenti mentre si tagliano le spese dello Stato sociale e si fa strame dello Stato di diritto.

Ormi è stato largamente adottato un sistema di certificazione della giustizia, plasmato sulla legittimità di campagne belliche, certo, ma anche di empatie e affinità culturali selezionate per mettere al bando il contributo letterario, artistico, di pensiero della Russia, Tolstoj è chiamato a scegliere tra Guerra e Pace, noi tra  guerra sacrosanta e condizionatori, confermando la terribile profezia che prevede la trasformazione fisiologica della tragedia in farsa demenziale.

Proprio come nella gestione della pandemia, le cause anche in questo caso vengono rimosse o resettate dalla manipolazione informativa, il solo imperialismo condannabile è quello d’Oriente, a sancire la obbligatoria sudditanza a quello d’Occidente, mentre diventa artatamente impraticabile pa partecipazione attiva – in quanto parte apertamente belligerante – a qualsiasi tavolo negoziale, inasprendo il conflitto, inaridendo la funzione delle relazioni diplomatiche, provocando la cessazione di collaudati rapporti commerciali.

Adesso anche i più restii cominciano a capire di essere stati obiettivi di una distorsione della    coscienza sociale e di manomissione del senso di responsabilità pubblica e individuale compiendo un’azione di omologazione  attraverso l’imposizione di modelli  ideologici e comportamentali cui è rischioso sottrarsi, pena l’emarginazione, l’ostracismo, e ,infine, la fame.

Non occorre, anche se sarebbe una lettura fertile, sfogliare i testi di Baudrillard quando denuncia la creazione di un mondo immaginario proiettato sullo schermo delle nostre vite come una serie di Netflix, talmente “iperreale” me così efficace da farci percepire una realtà fittizia come fosse quella vera, concreta, reale.

La finalità è quella di convincerci che gli unici depositari della verità siano quelli che praticano la realpolitik, mossi da interessi palpabili a rapida soddisfazione, quelli di una élite sempre più ristretta e ancorata a miserabili utili privati, guide esperte che non si fanno influenzare dal destino degli effetti collaterale, vaccinati o profughi, civili bombardati, licenziati senza ammortizzatori.

È proprio ora di abbattere i simulacri, di far cadere dai piedistalli i potenti che conosciamo così bene che non ci serve compilarne una lista, li vediamo sfilare ogni giorno con la loro imperturbabile faccia di tolla, la maschera del dominio ottuso e improvviso del profitto, dello sfruttamento, della tracotanza dei cretini cui si è concesso troppo spazio.