(Giuliano Ferrara – il Foglio) – A Berlusconi Napoli fa male, gli dà letteralmente alla testa, lo rimbecillisce, lo mette in uno stato stuporoso e lo incita immancabilmente a dare di sé un’immagine molto giocosa, molto privata, e un tantino avventurosa.

Un conto però sono i giochi d’amore, le passioncelle, la mondanità cortigiana, i narcisismi maschili, storie rosa più o meno eleganti che appartengono al privato di un uomo pubblico e meriterebbero un trattamento meno scioccamente puritano di quello che continua a essergli riservato da requisitorie moralistiche in giudizio, intollerabili, un altro conto è la guerra, che ha cause e conseguenze diverse. Qui la cosa si fa seria, e persino seriosa, e bisogna fare attenzione, provare a dare il meglio e non il peggio di sé stessi, il che non è sempre facile ma si può almeno tentare.

Il leggendario Cav. si è impiastricciato in una dichiarazione di ambiente napoletano troppo goffa e leggera per essere annoverata tra le sue migliori, e stavolta il suo mentire sapendo di smentire (Vergassola) ha qualcosa di allarmante. So che è solo esuberanza e gusto della follia e della scanzonata libido comunicandi. Una volta mi chiamò Boris Johnson, giornalista anche lui zuzzurellone per lo Spectator, per chiedermi un contatto con il presidente. Perché no?

Gli diedi il numero. Ma subito feci il numero per avvertire il mio amato Berlusconi: guardi che BoJo, insieme con quell’altro tipo bizzarro, la incastrerà in una conversazione o intervista il cui scopo è épater les bourgeois, dare scandalo, faccia attenzione.

Stavolta in Sardegna, non a Napoli eccezionalmente, le cose andarono come dovevano ahimè andare, e ne risultò, dalla conversazione spericolata, un giudizio turistico sul confino dorato sotto il fascismo e sulle solite cose buone fatte da Mussolini, con altre amenità. Se avverti Berlusconi di stare attento, le cose possono andare peggio ancora che senza messe in guardia.

Naturalmente Berlusconi produce sempre un effetto verità, le sue gaffe sono la chiave della sua affidabilità come oracolo politico. Ha detto letteralmente che l’Europa deve convincere l’Ucraina a dare a Putin quello che chiede, ha parlato come un Travaglio qualsiasi, e ora lo sgabello glielo spolverano a lui. Ma ha anche riassunto, in breve, occamisticamente, tagliando i concetti col rasoio, quello che i pensatori cosiddetti “realisti” sostengono nel loro linguaggio sorvegliato e accademico, nel loro sopracciò.

La sproporzione di forza e il bisogno di rassicurazione mondiale sul terreno dell’economia e della stabilità sono tali, dicono i guru del realismo, che bisogna affrettarsi a trovare una via d’uscita per Putin, assecondando al tutto o in parte, meglio in parte, gli scopi di conquista territoriale e simbolica alla base della sua invasione di un paese di oltre quaranta milioni di abitanti, con le conseguenze che si conoscono a Bucha e a Mariupol.

Tolto il timbro geopolitico, andando all’osso come sempre fa il grande comunicatore, si arriva al risultato: dare a Putin quello che chiede, ecco che cosa deve cercare di fare l’occidente o almeno la sua parte venusiana, l’Europa. Il che è evidentemente una bestialità politica, un errore peggiore di ogni crimine.

E’ un peccato, oltre che una delusione. Berlusconi non si dovrebbe mai spingere più a sud di Pratica di Mare, luogo in cui sperimentò con abilità e con i suoi mezzi amicali di businessman abituato alla stretta di mano il tentativo legittimo di aiutare a costruire una situazione di sicurezza in ambito Nato alla quale fosse possibile associare in un modo o nell’altro la Russia.

In un’epoca che è mille epoche fa, prima della Crimea e del Donbas, forse anche in virtù del suo isolamento domestico e del blasone che gli apportava l’amicizia schröderiana con Putin, visto che Berlusconi non è l’unico businessman di stato, con la differenza che lui è businessman di mestiere e non un lobbista  acquisito, aveva visto giusto. Poi si è spinto fino a Napoli.