L’intervista del ministro russo prova come la propaganda sia cinica e rozza. Meno male però che la Ue ha il suo kit per “combattere la disinformazione”… L’intervista del ministro Lavrov a Rete4 ha giustamente sollevato un vespaio e indignato molti in tutto il mondo. I quaranta minuti d’intervento sono stati definiti un comizio propagandistico […]

(DI FABIO MINI – Il Fatto Quotidiano) – L’intervista del ministro Lavrov a Rete4 ha giustamente sollevato un vespaio e indignato molti in tutto il mondo. I quaranta minuti d’intervento sono stati definiti un comizio propagandistico e le sue considerazioni, sulle stragi in Ucraina, sul gruppo Wagner e su Hitler, “mi risulta ebreo”, sono state già catalogate come fake news. Giusto. È stata un’intervista altamente negativa per Lavrov e per tutta la Russia. Un regalo inaspettato per tutti gli anti russi. La sua fama di abile diplomatico è compromessa. Non che sia per lui un gran problema. Forse sa di poterselo permettere ed è abbastanza navigato da ricordare che la diplomazia dei pranzi e rinfreschi non ha mai prodotto grandi risultati. L’abile e moderato Tareq Aziz mediatore di Saddam Hussein è morto in carcere. L’accordo di Dayton sulla ex Jugoslavia non sarebbe mai stato firmato se i tre presidenti di Bosnia, Croazia e Serbia non avessero avuto la pistola alla tempia del “diplomatico” Holbrooke. L’intervista ha avuto un minimo merito: ha reso molti italiani più consapevoli di cosa sia la guerra dell’informazione che stiamo combattendo sul nostro territorio da oltre due mesi. È bastata una sola uscita fuori posto, antidiplomatica e volutamente cattiva di Lavrov per dimostrare quanto la propaganda sappia essere cinica, violenta e rozza. Tutte le teorie sulla manipolazione delle coscienze o dei fatti e sulla forza dei messaggi subliminali o delle metafore e dei trucchi psicologici usati dalla propaganda politica o dal marketing si sono infrante in quaranta minuti di discorso-comizio.

Cremlino, la voce spietata contro il popolo-amico: noi
Lavrov è apparso freddo e spietato come un mastino, non ha lasciato spazio ad alcuna interlocuzione, ha detto ciò che ha voluto e non ciò che avremmo voluto sentire (ma cosa avremmo voluto sentire?). Ci ha sbattuto in faccia l’acredine di chi si sente tradito da un popolo che riteneva amico. Un popolo che i russi rispettano non perché ne condividono le scelte politiche, ma perché depositario e portatore di una cultura umanistica e artistica da essi considerata superiore, unica. Un popolo che ancora ammirano ma che appartiene a uno Stato che oggi è loro nemico: in guerra. Senza tanti giri di parole o alterazioni semantiche ha sfoderato tutte le verità di regime che giustamente in quanto tali non sono mai verità assolute, intercalate a bugie di regime anche queste mai assolute. Un altro punto di merito dell’intervista è quello di aver attirato l’attenzione sulla vulnerabilità alle manipolazioni della nostra opinione pubblica sempre restia a sentirsi in guerra finché non le si spara addosso e anche dopo. Churchill diceva che gli italiani vanno alla guerra come se andassero allo stadio e allo stadio come se andassero in guerra. In ogni caso ci sentiamo sempre e soltanto “spettatori” di fronte a qualsiasi combattimento. Lavrov ha detto chiaramente che in guerra ci siamo anche noi, in campo e non in tribuna. E non ci dovremmo meravigliare se l’amico diventato nemico ci tratta come traditori o imbecilli. Di fronte a questi messaggi diretti e senza fronzoli si è aperta la discussione sulla libertà d’informazione. Ci sarà un’inchiesta e probabilmente saranno prese ulteriori misure drastiche per il controllo della propaganda russa, in Italia e nel mondo. Sarà difficile che il diritto all’informazione ne esca vivo mentre è probabile che continui la negazione di una propaganda per favorirne un’altra, la nostra, che comunque anch’essa ci tratta tutti da imbecilli. Le misure non saranno certo quelle già adottate dai russi sul fronte interno, noi non arriveremmo mai a tale barbarie: 15 anni di galera per una notizia falsa? No, da noi c’è già l’ergastolo e non lo sappiamo. Se si parte dal presupposto che siamo in guerra, in piena guerra dell’informazione, oltre a quella indiretta (per adesso) con le armi, aver aperto una via alla propaganda avversaria è già un crimine perseguibile penalmente. In questo campo, la nostra giustizia non è meno drastica e stringente perché democratica. Le norme restrittive e punitive riguardanti la sicurezza dello stato dei paesi democratici in guerra sono simili a quelle dei regimi autoritari, come si può constatare osservando le leggi draconiane di paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia tanto per citare i più blasonati in fatto di democrazia. Senza considerare le disumanità (legali e illegali: maccartismo, sequestro, tortura, persecuzione e assassinio) che si compiono in nome della sicurezza.

Quelle “Intelligenze con lo straniero” made in italy
In Italia, gli articoli del Codice penale n. 261 sulla “rivelazione di segreti di Stato”, n. 265 per il “disfattismo politico”, n. 266 per le “istigazioni di militari a disobbedire alle leggi” e l’art. 267 “disfattismo economico” stabiliscono che: “Chiunque diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni. La pena è non inferiore a 15 anni se il fatto è commesso con propaganda o comunicazioni dirette ai militari o se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze con lo straniero”. In questo secondo caso la pena è dell’ergastolo. La condotta si considera criminosa solo se compiuta al tempo di guerra o in caso di imminente pericolo della stessa che è esattamente il nostro caso di oggi. In teoria la norma non dovrebbe colpire “idee e convincimenti di carattere privato, né frasi consistenti in meri apprezzamenti personali”. Ma non se ne può essere sicuri specie nel vortice di panico che la minaccia crea. Anche il fatto di non essere in guerra non esclude sanzioni per la diffusione di notizie ad essa collegate. L’art. 256 del nostro Cp dice “Chiunque si procura notizie che, nell’interesse della sicurezza dello Stato o, comunque, nell’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato debbono rimanere segrete è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto ha compromesso la preparazione o l’efficienza bellica dello stato, ovvero le operazioni militari. Oltre a chi procaccia notizie è responsabile anche chi le diffonde”. Questa norma si dovrebbe applicare soltanto alle violazioni del segreto di stato che provengono da documenti ufficiali classificati, ma neanche di questo si può essere sicuri. Si possono applicare anche a notizie provenienti da fonti diverse, a quelle che fanno parte delle notizie che lo Stato ritiene di non divulgare anche se sono di dominio pubblico (i segreti di Pulcinella), o alle speculazioni che “casualmente” coincidono con le notizie da non rivelare. Meno pesanti sono le sanzioni relative alla “pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate, o tendenziose per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico”. In questo caso l’art. 656 prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 309 euro (Iva inclusa). Tant’è che esso è ritenuto poco più della violazione delle norme di etica dell’informazione così frequentemente eluse dall’interpretazione strumentale della libertà di stampa. Ovviamente, gli articoli del codice che si riferiscono alla diffusione di notizie false non sembrano potersi applicare a quelle false create e diffuse contro il nemico anche se destano pubblico allarme o deprimono lo spirito pubblico o recano nocumento ai nostri interessi nazionali. Questa infatti è ritenuta una giusta lotta alla disinformazione dell’avversario anche se condotta con altrettanta disinformazione. Ed è per questa ragione che in tutta Europa sta dilagando una disinformazione organizzata dagli stessi governi che appoggiano e sponsorizzano la disinformazione ucraina o la sostengono con altrettanta disinformazione autogena.

L’Unione europea ha emanato un regolamento che proibisce la divulgazione di notizie provenienti da siti russi con la premessa che essi istituzionalmente fanno disinformazione e diffondono falsità. Può essere vero, ma non è dimostrato e sarebbe strano se non fosse reciproco. La stessa disinformazione europea a uso e consumo dei cittadini europei si diffonde dichiarando falso tutto ciò che proviene da determinate fonti.

Nel mirino la Russia, la Cina e i no-vax
Il kit dell’Ue distribuito alle scuole su “riconoscere e combattere la disinformazione” e quello diffuso a massa dagli spot della televisione pubblica – entrambi ripresi fedelmente dai circuiti dei grandi media – sono apertamente diretti a colpire la Russia, la Cina e i no-vax. La Ue non si accontenta di negare la loro informazione/disinformazione, ma quella parte che ci arriva eludendo la censura automatica delle piattaforme dei motori di ricerca o dei social deve essere sottoposta a un vaglio rigoroso. I kit consigliano di Dubitare, Verificare, Scindere, Diffondere. Il primo consiglio è sacrosanto: il Dubbio è la base della scienza e dell’intelligenza umana. Verificare e scindere il fake dal news è più problematico poiché la verifica deve fare riferimento a fonti “autorevoli” indicate dalla stessa Ue; perciò la diffusione riguarda esattamente ciò che la Ue vuole. A questo punto, l’individuo è sollecitato ad entrare nel circuito dei “cacciatori di fake news” per l’ulteriore diffusione di massa. Con questo processo, la produzione di fake news prolifera di pari passo con la loro smentita. Se lo scopo era quello di salvare la Patria suscitando il dubbio per poi scioglierlo con una risposta programmata, non è detto che tale sistema funzioni del tutto. La Patria e la libertà di espressione (dei cacciatori) potranno essere salve, ma il Dubbio aumenta.