Lo avrete notato: non basta più criminalizzare, diffamare, putinizzare chiunque coltivi un pensiero che si discosta dalla linea ufficiale, mediatica e governativa, di più armi e più guerra; è in atto un’operazione di abbellimento della guerra […]

(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – Lo avrete notato: non basta più criminalizzare, diffamare, putinizzare chiunque coltivi un pensiero che si discosta dalla linea ufficiale, mediatica e governativa, di più armi e più guerra; è in atto un’operazione di abbellimento della guerra che va di pari passo con un’eticizzazione del conflitto, già inteso come lotta tra il Bene e il Male da entrambe le parti (gli Usa salvatori del mondo libero; il patriarca Kirill con la sua teologia dell’Apocalisse).

Mentre il premier britannico Johnson in collegamento col Parlamento ucraino dice, rovesciando il Churchill del discorso alla Nazione del 18 giugno 1940, che questa non è l’ora più buia, ma “l’ora più bella per l’Ucraina, per la sua indipendenza e libertà” (parole vuote, aria fritta, a fronte dei cadaveri presenti e futuri), sui media si torce il linguaggio allo scopo di rendere attraente e glamour l’orrore della guerra. Oggi i mercenari si chiamano “volontari”, o “contractors” (la guerra come una specie di Erasmus dei carrarmati). Su Twitter giornalisti, deputati e opinion leader liberali vanno in visibilio per la notizia (lanciata da media ucraini) di un carico speciale dalla Spagna contenente armi e cibo (salsicce, dolcetti) griffati dalla Regina Letizia, che avrebbe anche inserito di sua mano tra le granate un biglietto affettuoso: “Vi auguro la vittoria!”. La sorpresina monarchica rende chic anche le armi più micidiali. I settimanali femminili promuovono la moda delle t-shirt militari a imitazione di quella di Zelensky e della presidente del Parlamento europeo Metsola in visita a Kiev: bisogna arrivare al conflitto sexy e preparate.

Sentimentalismo e irrazionalismo, tipici dell’interventismo dannunziano prima e della retorica mussoliniana poi, necessitano di persuasione, seduzione, minimizzazione del nefasto, enfasi epica. Occorre abbindolare le masse e gratificarle con un dolcetto ideologico (il miraggio delle colonie da depredare, allora; la libertà e la democrazia europea da salvare, oggi), senza indugiare troppo sui mezzi per ottenerlo. La differenza è solo di registro: il nevrastenico culto della guerra novecentesco si è trasformato in un bellicismo da divano nichilista e spiritoso, portato avanti da giornalisti-cabarettisti che vogliono “aiutare l’Ucraina” se occorre fino all’ultimo ucraino. Ragionare, non espungere la complessità dal discorso, è sospetto, per chi privilegia il fare sul parlare (la “ciarla vana” di Mussolini): meglio il vitalismo della “bella morte” che il rischio di pensare. Si continua a dire che si aiuta chi combatte per la libertà europea, anche dopo che il segretario alla Difesa Usa Austin ha detto che lo scopo dell’invio di armi all’Ucraina è “indebolire la Russia”. La sottovalutazione del pericolo nucleare, accarezzato dai commentatori in trance bellica come fosse un bluff di Putin che vale la pena andare a vedere, è un tratto irrazionalistico. Forse è il tratto essenziale – atomico e apocalittico – dell’irrazionalismo. Quando è il fatalismo in un destino ineluttabile a guidare le scelte dei governanti, come se non ci fosse alternativa, si è già nel sonno della Ragione. Questa retorica si fonda sul presupposto che “noi” agiamo per conto del Bene e che la resistenza ucraina sia uguale alla Resistenza italiana contro il nazifascismo, cioè che Putin sia il nuovo Hitler. Come ha spiegato il filosofo Edgar Morin su Repubblica (che inspiegabilmente non l’ha messo tra i proscritti anti-Nato e filo-Putin), Putin non è Hitler. Piuttosto, “siamo in un mondo dominato dagli antagonismi tra le superpotenze e consegnato a deliri etnici, nazionalisti, razzisti e religiosi”. Il delirio necessita di una finta razionalizzazione per realizzarsi. Senza alcun imbarazzo, sui nostri media si mischiano elogi della democrazia con la mistica del sacrificio dei soldati nazisti dell’Azov, talmente eroici da asserragliarsi sotto le acciaierie di Mariupol con una folla di civili come scudo; il loro uso delle svastiche è puramente ludico e ricreativo: leggono Kant e sono coccolati dai media che ne ospitano le mogli piangenti in tour europeo davanti alle telecamere.

Diceva Walter Benjamin che l’estetizzazione della politica è un tratto inequivocabile del fascismo. Quanto più ha intenti totalitari, tanto più la politica cerca di mantenere inalterati i rapporti di proprietà, il cui cambiamento gioverebbe alle masse; per farlo, somministra loro dei contentini estetici: arte di bassa qualità, intrattenimento e, oggi, storie Instagram, pseudo-notizie, mistica della vittoria. Putin ha represso la libertà promettendo al popolo il riscatto degli antichi valori per mezzo di una “operazione militare speciale”. L’Occidente ci sta trascinando dentro una catastrofe nucleare in nome di una finta libertà. È di qualche rilevanza che la proprietà dei mezzi di produzione culturale sia in molti casi in capo alle stesse persone che guadagnano dall’industria che produce armi.