(Giuseppe Di Maio) – Il popolo non capisce un cazzo. Il normale dibattito politico col quale si cercava di carpire il consenso, nel quale si esponevano le ragioni di parte, e per mezzo del quale si smascherava il proprio nemico o si dileggiava la sua figura pubblica, ad un certo punto finì. La diuturna fatica di certuni, che spremevano le meningi per rappresentare ai propri concittadini la realtà della struttura sociale, le contraddizioni accasate tra interessi e idee, tra profitto privato e obiettivi comuni, d’improvviso diventò inutile. Dalla Cina era partito un esserino permeante e apolitico che condizionava l’eccitazione intellettiva popolare. Le precedenti geometrie delle polemiche politiche, che avevano interessato uno sparuto numero di osservatori, ad un tratto si moltiplicarono. I fatti della sanità diventarono fenomeno di costume, e la coazione generale a restare confinati concesse a tutti il tempo di pensare alle questioni pubbliche. Sembrava che si fosse caduti nelle stesse condizioni dell’amara disputa tra De Gaulle e Ben Gurion, dove il primo si lamentava che era impossibile governare un paese con 200 tipi di formaggio, e l’altro replicava che era più difficile governarne uno con 6 mln di primi ministri. Noi, che ci eravamo limitati fino ad allora a 60 mln di CT, tirammo fuori dal cilindro altrettanti virologi, epidemiologi, immunologi, e infettivologi.

Ormai sono più di due anni che restiamo schierati sui contagi, mascherine, vaccini e pass, e già stavamo credendo di passare i prossimi due nelle stesse condizioni, quando ci vengono in soccorso Putin e i suoi connazionali. Il popolo che non si era mai interessato di chi lo escludeva dai diritti della cittadinanza, è passato dalle oppressioni del virus e dalle libertà costituzionali, alle ragioni dei russi e agli aiuti ai combattenti ucraini. Sembra che gli sia impossibile capire i fatti analiticamente, e che abbia un’irresistibile propensione a schierarsi su fronti avversari. Nella specie umana le ragioni tribali sono superiori a qualunque questione logica; per i suoi individui lo stesso “ragionare” è un fatto secondario alla lotta intraspecifica. E’ per questo che la guerra ha così tanta facilità ad attecchire, perché non ha bisogno di essere capita. Bastano le poche ragioni che la propaganda dei veri interessati esibisce di continuo. Quelle del vescovo Kirill hanno superato ogni pudore.

Intanto l’unica guerra che non riesce definitivamente a conflagrare su fronti opposti, è la lotta di classe. Poiché è l’unica che ha bisogno di un intenso lavoro razionale per poter disegnare gli schieramenti avversari, e le linee su cui si svolge la contesa. E questo per il popolo è troppo.