Basta “neri”. Smaltita la sbornia per il Matteo Salvini pseudo-moderato, i giornaloni tifano per Giorgia: prima era impresentabile, adesso dà garanzie agli Stati Uniti. Fino a qualche mese fa, Giorgia Meloni era descritta come una specie di nazista tra i nazisti […]

(DI LORENZO GIARELLI – Il Fatto Quotidiano) – La guerra fa miracoli. Fino a qualche mese fa, Giorgia Meloni era descritta come una specie di nazista tra i nazisti, la leader di un partito che non ha mai fatto i conti col fascismo e inadatta a governare perché compromessa a causa dei rapporti con le peggiori destre mondiali, dall’Ungheria alla Russia. Un ritratto duro ma pur sempre legittimo, se non fosse che nelle ultime settimane, con il conflitto in Ucraina, sui principali giornali italiani Meloni si è trasformata in una statista, l’unica in grado di garantire serietà (leggasi: posizione atlantiste) insieme al Partito democratico, in quest’epoca di populismo adesso incarnato solo da Lega e Movimento 5 Stelle.
A leggere gli articoli dedicati a Meloni negli ultimi tempi c’è da chiedersi se le cattive compagnie internazionali e le derive autoritarie siano scomparse.
Qualche esempio. Su Repubblica, la leader di FdI è fin dal titolo “Giorgia l’atlantista”, autrice di una “prodigiosa metamorfosi” e ora “rispettata nelle istituzioni continentali e persino oltreoceano”. Ancora: “Un ex sovranista convertita all’Unione europea”, considerata “interlocutrice affidabile” da Mario Draghi, anche se ancora manca l’ultimo passo, ovvero “farsi conoscere anche da quei mondi che l’hanno sempre guardata con un misto di sufficienza e fastidio” (tipo Repubblica?).

Sullo stesso giornale, peraltro smentendo l’idea di una “metamorfosi”, Francesco Merlo ricorda invece che “l’atlantismo” della leader di Fratelli d’Italia “è solido e non è nemmeno una sorpresa perché non c’era la Russia nel retrobottega missino e non ci sono scampagnate di Meloni sulla Pizza Rossa”. Ad accomunarla a Putin sono “solo quelle generiche affinità, da ‘No agli immigrati’ a ‘Dio, patria e famiglia’ che uniscono tutte le destre del mondo”. Ragazzate, insomma, cose che si dicono tra amici.
Luca Ricolfi, siamo ancora su Repubblica, allarga la riabilitazione perfino alla semantica: “Stona, nel momento in cui parliamo con ammirazione degli ucraini che corrono in patria a sostenere la resistenza, dileggiare Giorgia Meloni per il suo definirsi ‘patriota’”. Ci eravamo sbagliati: “Non è detto che la destra più accettabile sia quella che ci piace definire moderata o di governo”. Finita la sbandata per Matteo Salvini e la sua fantomatica “svolta moderata” – apprezzatissima, benché inesistente, dall’establishment editoriale – ecco pronto il carro di FdI su cui salire al volo.
Tanto è vero che anche Stefano Folli può festeggiare all’idea di “un duello privilegiato tra Letta e Meloni”, merito di Giorgia che “sta facendo chiarezza rispetto alle numerose zone d’ombra del suo schieramento”.
Per gli stessi motivi si compiace anche il Corriere della Sera, su cui Massimo Franco, elmetto in testa, non si capacita dell’irresponsabilità di Giuseppe Conte, contrario all’aumento delle spese militari: “L’aspetto paradossale è che mentre la prima forza del governo scivola ai suoi margini, la destra d’opposizione di Giorgia Meloni chiede di aumentare quelle spese fino al 2% del Pil: la richiesta della Nato. L’insistenza di Conte rende la sua decisione ancora più grave”. Ma per fortuna c’è la Meloni, che si sta dissociando dal “populismo in declino” e si schiera con Draghi nel rafforzamento “in senso atlantista della posizione dell’Italia in Europa”, rinunciando così a una “polemica stantia contro l’establishment”.
Pure Il Foglio apprezza la nuova Meloni. Sul quotidiano di Claudio Cerasa non si parla di metamorfosi o di altre mutazioni genetiche, ma di “normalizzazione”, rispolverando un gergo che profuma di ordine ristabilito: “L’impegno atlantico e l’appoggio esplicito all’aumento delle spese per la Difesa conferiscono a Giorgia Meloni un ruolo da opposizione costruttiva, che contrasta con quello di alcuni settori della maggioranza”. Non del tutto convinto, Il Foglio ammonisce però la leader: “Un solo passo non basta”. La strada per conquistare i benefici del salotto buono è ancora lunga.
Su La Stampa ci pensa Marcello Sorgi a sancire che l’aria è cambiata: “Meloni ha approfittato dell’occasione per ribadire la nuova collocazione sua e del partito: conservatori, sì, ma in una cornice europea e atlantista”. A completare il quadro c’è Mario Lavia su Linkiesta, punto di riferimento della pseudo “area riformista” che tante ne ha dette a Giorgia e che invece adesso si lancia in una disamina antropologica: “La coerenza premia gli adulti Letta e Meloni, mentre Conte e Salvini fanno le giravolte”. Lungi dall’essere la protagonista della “destra peggiore di sempre” che fu, ora Meloni è insieme al leader del Pd “la più affidabile” e con lui duellerà per andare a Palazzo Chigi. Una conclusione a cui Il Messaggero era già arrivato a fine febbraio, quando la fu ministra della Gioventù era volata negli Usa per la convention del Partito Repubblicano: “Meloni sorpassa Salvini, rinnega il sovranismo e fa il salto di qualità”.

Sarà dura per un partito come Fratelli d’Italia farsi garante del nostro atlantismo, con tutti i problemi che ha. O che aveva, visto che sembrano essere spariti.
In origine fu l’inchiesta di Fanpage, quella che appena prima delle amministrative di ottobre 2021 mostrò le simpatie fasciste di alcuni candidati di FdI a Milano, ripresi di nascosto anche mentre discutevano di un possibile finanziamento illecito per la campagna elettorale. Un’onta che si aggiunse a una reputazione già pessima, fatta di ammiccamenti a Viktor Orban e Donald Trump e strani rapporti economici con la Russia. Su Repubblica si raccontava: “Dai saluti romani a Heil Hitler, il partito dei neri non per caso”. Ezio Mauro si occupava del “nodo nero che soffoca la destra”: “Siamo di fronte, è arrivato il momento di dirlo chiaramente, alla riproposizione del fascismo”.
Sul Domani Meloni era addirittura “l’avanguardia del cristoneofascismo mondiale”, mentre La Stampa non mancava di ricordare “il fantasma di Fini e i giovani in ascesa”, ragioni di “quell’abiura che Giorgia non può fare”. Il tutto per arrivare a quella “destra impresentabile” non in grado neanche di stare all’opposizione composta, figurarsi di guidare il Paese. Ma i tempi cambiano: basta non fare scherzi sull’atlantismo e c’è un’occasione per tutti.