(di  Massimo Gramellini – corriere.it) – Tra i suoi molti meriti, d’ora in avanti il filosofo Massimo Cacciari potrà annoverare anche quello di avere messo tutti d’accordo almeno su un punto: nel parlare male di lui. Da quando hanno saputo che aveva assunto la terza dose, i no vax hanno preso a dargli del traditore e addirittura del comico («Booster Keaton»), mentre i pro vax studiano le sue ultime mosse con la diffidenza che si riserva ai folgorati sulla via di Pregliasco. In realtà Cacciari non è né un voltagabbana né un convertito. In estate consigliava di vaccinarsi e, se ha fatto la terza dose, significa che se n’era già iniettate altre due. Poi non ha mai detto che i vaccini sono inutili, ma solo che non preservano dal contagio: il che, oltretutto, si sta rivelando vero.

Eppure, a ben vedere, la sua disavventura è ricca di insegnamenti filosofici. Il primo è che sugli argomenti divisivi il cervello dell’opinione pubblica funziona come un interruttore – on/off, viva/abbasso – e rifiuta i distinguo e i ragionamenti, persino i più elementari. Il secondo è che, molto più di quello che dici, conta come lo dici, e con chi. Per giustificare la sua acquiescenza al vaccino, Cacciari si è paragonato al collega Socrate, il quale obbediva anche alle leggi che considerava folli. Però Socrate frequentava Platone, non Agamben. E sosteneva che il massimo della saggezza consiste nel sapere una cosa sola: di non sapere nulla. Mentre per il Massimo della saggezza a non sapere nulla sono sempre gli altri.