(Gabriele Gambini – la Verità) – Differenza di vedute poetiche tra Guido Gozzano e Gabriele D’Annunzio. Il primo, crepuscolare e sognante, scrisse: «Non amo che le rose che non colsi, le cose che potevano essere e non sono state». Insomma: l’attesa del piacere è essa stessa il piacere, ma per assaporare il piacere, campa cavallo. Il secondo esortava: «Cogli la rosa, stai attento alla spina».

Vale a dire: datti da fare, ma non stare troppo a rimuginare, altrimenti perdi la corriera. In mezzo a quel bivio esistenziale, si colloca la carriera di Lorenzo Insigne, talentaccio brevilineo, affettuosamente paragonabile a un bimbo, se confrontato coi colossi muscolari del calcio odierno, e però col piede di una Cenerentola che non solo la corriera l’ha presa, ma in 30 anni di vita è salito sulla carrozza dei buoni attaccanti senza timore che questa si trasformasse in zucca.

Ebbene, Insigne, gioiello di Napoli, capitano di lungo corso che con la città e col presidente della sua squadra ha vissuto un rapporto di amore e di odio (vale a dire: ha colto sia le rose, sia le spine) a fine stagione saluterà i compagni. Destinazione Toronto Fc, campionato di Mls, lega nordamericana.

Il campionato in cui ha militato Zlatan Ibrahimovic prima di tornare al Milan da re, dove in passato si accasò Giorgione Chinaglia, dove era andato Sebastian Giovinco, la «Formica atomica» che a Lorenzo somiglia per qualità e struttura fisica. Le cifre sono da Re Mida: 11,5 milioni di euro netti di ingaggio per 5 anni, più 4,5 milioni di bonus, di cui 3,5 raggiungibili con gol e assist e 1 milione vincolato alla vittoria della Champions nordamericana.

Aurelio De Laurentiis lo lascerà partire a zero euro – il contratto di Insigne è in scadenza -, l’accordo dovrebbe essere ufficializzato a breve, il patron del Napoli avrebbe tentato persino di piazzare il suo capitano in un campionato arabo, si mormora. La certezza rimane una: per abbassare il monte ingaggi, gli avrebbe proposto un rinnovo a 3,5 milioni, bruscolini rispetto all’offerta dei canadesi.

I fan partenopei rumoreggiano, fioccano commenti disperati e incattiviti, e però nel calderone delle reprimende c’è chi, a ragion veduta, benedice la scelta del numero 10 della Nazionale come saggia. L’uomo, si diceva, ha 30 anni – significa una prospettiva di agonismo ad alti livelli di altri cinque anni buoni, salvo infortuni – ma appartenendo alla schiatta degli ottimi giocatori, non dei totem insostituibili alla Messi, si è trovato di fronte a un’opportunità irripetibile per la sua carriera. Un prendere o lasciare che qualunque professionista in qualunque ambito accoglierebbe con l’acquolina in bocca, assaporando il gusto di sistemare la propria famiglia per una decina di generazioni. C’è poi la questione del cuore infranto.

Si dice che una bandiera non mollerebbe mai i propri colori, nemmeno per tutto l’oro del mondo. La considerazione è vera in parte, o per lo meno lo era fino a qualche anno fa, ma Insigne non è un Paolo Maldini del Milan, non è un Totti della Roma o, per l’appunto, un Maradona per il Napoli. È un ottimo attaccante laterale consacrato dall’arguzia tattica di Zdenek Zeman a Pescara, ricordato soprattutto per il guizzo repentino nell’area avversaria e per un tiro a giro di precisione millimetrica, ribattezzato in suo onore tir a ggir nei bassorilievi floreali delle lingue calcistiche.

Ha provato a vincere gli scudetti mancandoli talvolta di poco, senza tracciare quel solco indelebile nella storia del suo club tipico di una manciata di pedatori immortali. Un ottimo elemento, ma rimpiazzabile, il primo a esserne convinto è il suo presidente, con cui talvolta ha bisticciato: emblematico fu il suo rifiuto di accettare il ritiro punitivo dopo la partita di Champions contro il Salisburgo nel 2019, quando l’allenatore era Carlo Ancelotti. «Fu un errore da parte mia», dice Insigne oggi, memore di quello scontro al vetriolo risoltosi con un armistizio.

Di un fatto si può essere sicuri: Lorenzo sa di rimanere un perno degli azzurri di Roberto Mancini, sia per le sue qualità di calciatore, sia per la non eccezionale varietà di punte a disposizione. È stato tra gli eroi della conquista dell’Europeo quest’ estate, sarà tra gli uomini decisivi nello spareggio per accedere ai prossimi Mondiali e, se quest’ ultimo dovesse arridere all’Italia, sarà convocato di diritto nella pattuglia impegnata in Qatar. La Nazionale e i suoi allori non sono messi in discussione dalle sue scelte future.

Quanto al militare in un campionato di second’ordine rispetto a quelli del vecchio continente, il napoletano sa pure di approdare in Canada da dominatore indiscusso: nessuno nella lega nordamericana possiede il suo talento. Oltre ai danari, gli spetterebbero gli onori riservati ai fenomeni. Un po’ come accaduto, con i dovuti distinguo tra i due, proprio a quel Giovinco che qui faticava a imporsi, e là è diventato un divo.

Insomma, se l’affare con il Toronto andasse in porto, la Serie A perderebbe un protagonista capace di solleticare la fantasia dei suoi tifosi, salutandoli però senza particolari debiti emotivi. E la Mls ricoprirebbe d’oro un atleta ancora giovane, con un ruolino di marcia convincente: 400 partite nel massimo campionato italiano e 126 gol, di cui 320 (e 89 reti) con la casacca del Napoli, 53 partite e 10 gol con quella dell’Italia.